Territorio e responsabilità: un’agenda per l’anno 2018-19

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Sta per iniziare un nuovo anno scolastico e con esso una nuova programmazione per la World Social Agenda (WSA). L’anno 2018-19 si iscrive all’interno del quinquennio dedicato all’Agenda 2030 e avrà come forza motrice la questione ambientale: “Planet”, secondo il linguaggio dell’ONU“territorio e responsabilità” secondo gli intenti della WSA. Le scuole primarie e secondarie, a Padova e a Trento, verranno investite dai venti caldi delle urgenti questioni legate alla gestione del territorio, delle risorse idriche ed energetiche, al cambiamento climatico, al consumo di suolo. La riflessione verterà sul significato del concetto di territorio e sulla possibilità che ognuno possa assumersi delle responsabilità nei confronti della sua gestione: l'ambiente è mezzo e fine di questa gestione ed elemento costitutivo degli spazi abitati. 

Si assume che ogni territorio sia il risultato storico e geografico dell’interazione fra una società insediata e un ambiente dalle risorse più o meno disponibili. La preoccupazione che ci viene affidata riguarda la possibilità di essere maggiormente sostenibili o meglio più sostenibili di quando lo siamo ora. Altrimenti, dice qualcuno, ci serviranno due pianeti per soddisfare le nostre esigenze. Come fare, quindi, visto che non disponiamo di tale abbondanza? Sosteniamo sia fondamentale lavorare sulle relazioni tra il sistema sociale e quello ambientale: su di esse si misura il progetto di sostenibilità di ogni territorio. 

Vorremmo iniziare a partire dalla scoperta delle caratteristiche di queste relazioni, per conoscerne e capirne, anche se solo parzialmente, i significati e i meccanismi, al fine di rinsaldare e/o rifondare il patrimonio territoriale sul quale ogni giorno uomini e donne agiscono. Per farlo pensiamo non siano necessari mezzi pesanti o straordinari; in fin dei conti di tecniche e tecnologie innovative, soft, appropriate, bio ed ecologiche per la costruzione del territorio e in generale di strumenti per una rinascita sostenibile dei luoghi non manchiamo.  Siamo invece carenti sul fronte del nostro rapporto con il territorio. Su di esso vale la pena spendere un po’ di energie per recuperare una relazione più umana, si legga pure più fisica, con il territorio, un riavvicinamento alla “natura” – acqua, aria, suolo, energia – e alle comunità locali, vere forme di convivenza attraverso le quali si manifesta il territorio. 

Riflettendo sul percorso da fare con le scuole mi è tornata in mente con tutta la sua potenza la lezione di Alberto Magnaghi e del suo Il progetto locale – libro che oramai sta per compiere vent’anni dalla sua pubblicazione. Secondo Magnaghi il territorio è l’opera d’arte più straordinaria che l’umanità abbia potuto realizzare a partire da un atto di trasformazione della natura attraverso l’influenza della cultura. Esso infatti è l’esito di un progetto sociale fatto di obiettivi, risorse, strategie; risultato di pratiche di produzione, uso, trasformazione che necessita di cure per continuare ad esistere: è l’ambiente dell’uomo, e della donna, senza il quale non sarebbero possibili azioni vitali. Necessita quindi di essere sostenibile, cioè duraturo nel tempo e ancorato allo spazio. 

Cos’è dunque la “sostenibilità”? Da tempo se ne parla. A Rio, nel 1992, era stata posta molta enfasi sul concetto legandolo al diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura, un diritto che “deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all'ambiente ed allo sviluppo delle generazioni presenti e future”. A distanza di oltre vent’anni questi principi vengono posti quali premesse fondanti il lavoro da fare insieme, a livello globale, nei prossimi anni per realizzare i diciassette obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Cosa significa dal punto di vista pratico? Ripartiamo innanzitutto considerandola“sostenibilità come insieme di relazioni virtuose tra le componenti del territorio stesso: l’ambiente naturale, l’ambiente costruito, l’ambiente antropico e sociale”;componenti che sono tra loro intimamente legate, sovrapposte, non divise come invece siamo abituati ad intendere e a concepire la relazione tra natura e cultura.

A questo punto non possiamo considerare la “questione ambientale” come un mero problema tecnico, settoriale, bensì relazionale perché essa non è altro che il prodotto di una serie di azioni costruttrici e distruttrici messe in atto nel corso del tempo da uno o più gruppi umani.  Quindi ne siamo in parte responsabili. Per questo la responsabilità diventa la cifra di un agire che non solo conosce e riconosce limiti e opportunità dello sviluppo sostenibile di un territorio, ma ne è consapevole a tal punto da farsene carico e da prendersene cura. 

Pratiche, queste ultime, che si educano facendo leva sul senso di appartenenza ad un luogo. Pratiche sulle quali si possono attivare comportamenti e sentimenti di proprietà condivisa, di ownership si direbbe in inglese, attraverso le quali il territorio diventa soggetto collettivo, espressione della “potenza” di un gruppo sociale. Il percorso è ambizioso, ma inevitabile. Prima si comincia meglio è. Alla scuola, in qualità di agenzia di educazione alla cittadinanza, viene affidata una parte di questo compito. Le Indicazioni nazionali del 2012, riprese da quelle del 2018, ribadiscono che  “l’educazione alla cittadinanza viene promossa attraverso esperienze significative che consentano di apprendere il concreto prendersi cura di se stessi, degli altri e dell’ambiente e che favoriscano forme di cooperazione e di solidarietà. (…) Obiettivi irrinunciabili dell’educazione alla cittadinanza sono la costruzione del senso di legalità e lo sviluppo di un’etica della responsabilità, che si realizzano nel dovere di scegliere e agire in modo consapevole e che implicano l’impegno a elaborare idee e a promuovere azioni finalizzate al miglioramento continuo del proprio contesto di vita”.

Questo implica una vera e propria rivoluzione. Secondo noi sarà territoriale, cioè una rivoluzione che passa attraverso il prendersi cura delle persone e del pianeta: non è buonismo, è responsabilità da costruire, da coltivare, da educare. Lavorare sul territorio e con il territorio è un esercizio per costruire una cultura della responsabilità. La World Social Agenda proverà a fare questo esercizio insieme alla scuola – insegnanti, alunni e alunne, studenti e studentesse, educatori, educatrici, famiglie, cittadinanza. L’agenda è ricca e ambiziosa, non potrebbe essere altrimenti visto che riguarda il destino dell’umanità, cioè il nostro. Seguiteci: worldsocialagenda.org.

Sara Bin

(1976) vive in provincia di Treviso e lavora a Padova. É dottore di ricerca in geografia umana; ricercatrice e formatrice presso Fondazione Fontana onlus dove si occupa di progetti di educazione alla cittadinanza globale e di cooperazione internazionale; è docente a contratto di geografia politica ed economica; ha insegnato geografia culturale, geografia sociale e didattica della geografia. Collabora con l’Università degli Studi di Padova nell'ambito di progetti di educazione al paesaggio e di formazione degli insegnanti. Ha coordinato lo sviluppo e l'implementazione dell'Atlante on-line in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione, del'Università e della Ricerca. Dal 2014 fa parte del gruppo di redattori e redattrici di Unimondo. Ha svolto attività didattica e formativa in varie sedi universitarie, scolastiche ed educative ed attività di consulenza nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Tra i suoi principali ambiti di ricerca e di interesse vi sono le migrazioni, la cittadinanza globale, i progetti di sviluppo nell’Africa sub-sahariana, lo sviluppo locale e la sovranità alimentare. Ha svolto numerose missioni di ricerca e studio in Africa, in particolare in Burkina Faso, Senegal, Mali, Niger e Kenya. E' membro dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e presidente della sezione veneta

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