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Con tutto quello che succede!
Educazione allo sviluppo
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Foto: Sandie Clarke su Unsplash
In questo mondo afflitto da terrificanti conflitti, l’allegra mattanza pasquale non può essere derubricata a fatto privo di importanza, sulla scorta del mantra “con tutto quello che succede…”. Al contrario quella strage sostiene la normalizzazione e l’ubiquità della crudeltà del più forte sul più debole, crudeltà, che non è opera di sadici o psicopatici, ma è intrinseca al tessuto stesso delle nostre società
Le ricorrenze, nel loro preciso ripetersi, tracciano punti fermi nel nostro calendario interiore, richiamando a una sorta di memento: ricordati, ricordati di ricordare qualcosa che non va dimenticato. Quelle religiose, per chi religioso si ritiene, dovrebbero anche essere un monito, un richiamo a dogmi, credenze, riferimenti che però sempre più spesso appaiono appannati nel mondo occidentale dove la tendenza in ascesa è quella del fai quello che vuoi purché ti piaccia. Tanto che dichiararsi credente per molti finisce per limitarsi a un’etichetta che risulta protettiva, pur nel materialismo dilagante, in quanto assicura nell’al di là la strada verso un’immortalità sempre agognata, ed è nel contempo garanzia, nell’al di qua, di un’accettazione sociale, basata sull’ostinata equazione religioso uguale buono, capace di fornire una sorta di pregiudizio positivo, per cui non esiste necessità di dovere argomentare: basta la fede, che per altro è dono e non merito.
Tutto bene? Non proprio. Fatto salvo il sacrosanto diritto alle proprie credenze, esistono addentellati, accessori a queste stesse credenze che investono un ambito che non è più quello spirituale intoccabile, ma invade vita e morte di centinaia di migliaia di altri esseri senzienti, nello specifico, quando si parla di Pasqua, di agnelli. La loro uccisione non conosce sosta lungo tutto l’anno, ma, in questa ricorrenza, diventa rito, tradizione, cultura, e rispolvera il postulato, per sua natura indimostrabile, che l’agnello, quello di Dio, è colui che toglie i peccati dal mondo attraverso la sua stessa morte: lui, innocente, indifeso, fragile viene allora condannato a una morte impietosa così da redimere l’uomo dai suoi peccati. Vecchia storia che si rifà al concetto di capro espiatorio, colui sul quale vengono riversati i debiti umani non pagati che lui, morendo, si dice riscatterà. Chi mai davvero può credere in questa narrazione che è l’apoteosi dell’ingiustizia, per cui il peccatore si salva compiendo un altro peccato, quello dell’uccisione di un innocente, di milioni di innocenti? Torna alla mente la figura, non si sa quanto storicamente dimostrata, dell’whipping boy, il ragazzo che, all’inizio dell’età moderna, affiancava un giovane principe in modo che, quando questi commetteva errori, venisse frustato al posto suo, preservando così il nobile da umiliazione e dolore.
Se questa situazione lascia noi contemporanei increduli, non riesce comunque a disappannare il nostro sguardo davanti ad altre ingiustizie del tutto simili che continuiamo serenamente a compiere attribuendo loro significati spirituali. In fondo, per altro, in forme fortemente diverse, la tentazione di far pagare ad altri le nostre colpe non ci è certo estranea, anzi esercita un’attrazione di non poco conto, sintetizzabile nella convinzione che l’importante è il nostro benessere, chissenefrega se pagato con miserie altrui. E questi altri, i capri espiatori, incaricati della missione, sono sempre i più deboli, quelli privi di diritti, incapaci di vendetta: tutto considerato, in quanto specie che teorizza e sostiene tutto questo, non ne usciamo davvero bene e ci iscriviamo a tutto tondo nella categoria dei codardi.
Ma all’allegra mattanza pasquale degli agnelli si unisce anche uno stuolo di non credenti, che, per l’occasione, rispolvera un attaccamento imprevisto alla tradizione, che incredibilmente affida all’abbacchio, il quale, al forno o alla romana, magari con contorno di patate, dovrebbe essere il mezzo per celebrarla. E l’abbacchio, giusto per ricordare i distratti e gli smemorati, è l’agnello ucciso entro i primi due mesi di vita: insomma appartiene a quello stuolo di decine di migliaia di neonati d’altra specie che già stanno affollando le nostre strade e autostrade, stipati sui camion, belanti di terrore e di sgomento, per arrivare ad essere macellati giusto in tempo per le nostre tavolate...