Palestina, Libano, Ucraina. Il Punto

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Immagine: Atlanteguerre.it

Nelle parole del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, c’è l’infinita ambiguità di una parte di Mondo nei confronti della tragedia di Gaza. In questi giorni, il Ministro ha detto che da parte di Israele, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ci vuole “una risposta proporzionata. Attenzione – ha aggiunto – a non fare troppe vittime civili”. Come dire che un po’ sono comunque ammesse: chiaro no?

È la terribile logica illogica della guerra. La reazione, evidentemente sproporzionata ed altrettanto evidentemente poco attenta ad uccidere i civili del Governo israeliano, ha causato ad oggi almeno 30mila morti. Assassinati da bombe, missili, proiettili sparati dagli uomini che avanzavano tra le macerie. Un massacro che dopo più di quattro mesi non ha fine, in una evidente strategia di conquista territoriale e di annientamento della popolazione che non ha più nulla a che vedere con le necessità di difendersi o di liberare gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.

Mentre affama e uccide migliaia di individui a Gaza, infatti, Israele mette in atto l’opera di eliminazione e sradicamento dalla propria terra dei palestinesi anche in Cisgiodania. Lì, i coloni israeliani, armati e protetti dall’esercito, nel silenzio quasi totale dei media europei, scacciano i contadini palestinesi dalle campagne o li uccidono al minimo segno di resistenza.

Contemporaneamente, il governo di Tel Aviv lancia raid aerei sul Libano, per colpire le basi di Hezbollah, l’organizzazione politico militare sciita amica dell’Iran. Hezbollah è dichiaratamente schierata con i palestinesi e dalle proprie basi colpisce, con razzi, il territorio israeliano. Un evidente allargamento della guerra, che sembra non preoccupare minimamente il Governo israeliano.

È una guerra senza quartiere e senza pietà. È bene ricordarlo: non è – nonostante la feroce propaganda israeliana, appoggiata da molti mass media europei – una guerra di difesa, combattuta per difendere il diritto all’esistenza di Israele. Nessun Paese confinante mette più in discussione quel diritto, ribadito nelle quattro sanguinose guerre arabo-israeliane fra il 1948 e il 1973.

Da allora, attraverso trattati di pace e accordi, l’esistenza di Israele è stata accettata e garantita. Non da Hamas, questo è vero. Ma Hamas non è la Palestina e non è il mondo islamico. Quindi, questo massacro, lungo ormai quattro mesi, ha i propri precedenti non in quelle guerre combattute per la propria esistenza, ma nelle azioni militari che, a intervalli regolari, hanno colpito Gaza sin da quando è tornata interamente palestinese, nel 2006.

Nel marzo del 2008 fu con l’operazione “Inverno caldo”, con truppe di terra israeliane a invadere il territorio. Il 27 dicembre dello stesso anno scattò “Piombo fuso”, con bombardamenti aerei per colpire le postazioni di Hamas. Nel 2014 fu la volta di “Margine di Protezione”, campagna militare che durò dall’8 luglio al 26 agosto, con almeno 2.220 palestinesi morti, fra cui 551 bambini e 299 donne.

Se la storia la si vuol raccontare davvero, non si può e non si deve far partire lo scontro dall’azione di Hamas del 7 ottobre 2023, ma dalla volontà di parte degli israeliani, diventata negli anni maggioranza parlamentare, ma forse non maggioranza del Paese, di cacciare i palestinesi dal territorio, di annullarne ogni traccia. Lo dimostra l’omicidio dell’ex Premier Yitzhak Rabin, nel 1995, ucciso da un esaltato ortodosso ebreo, contrario all’accordo firmato con Yasser Arafat – all’epoca capo della resistenza palestinese – per creare “due Stati, due popoli”.

Se davvero vogliamo evitare, come dice Tajani e come aggiungono altri ministri europei, un allargamento della guerra, dobbiamo raccontare le cose come stanno, nel pieno rispetto del diritto internazionale. Altrimenti, come possiamo spiegare l’appoggio all’Ucraina, che difende i propri territori occupati illegittimamente dalla Russia? Attorno a questa domanda, si muovono scenari fondamentali nello scontro mondiale fra “filo-americani” ed emergenti “alternativi” guidati dalla Cina e appoggiati dai Paesi del BRICS.

In questa assenza di diritto e di coerenza, si muove ancora la guerra in Ucraina, altro palcoscenico dello scontro mondiale, arrivata al giorno numero 722 dall’invasione russa. Con il fronte di fatto fermo, sono i civili a morire, ancora. Compresi quelli russi, colpiti dai droni ucraini in un centro commerciale di Belgorod. I morti accertati sono sei e si aggiungono alla lunga lista di vittime di questa guerra, arrivata probabilmente a superare – fra militari e cittadini – i 600mila morti.

Un bagno di sangue che non ha fine e un disastro economico che creerà ingiustizie infinite. La Banca Mondiale ha calcolato che ricostruire il Paese costerà almeno 453miliardi di euro. Un salasso che arricchirà pochi, ma che pagheremo tutti.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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