Economia di guerra in tempo di pace. Il caso Spezia

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La rassegna SeaFuture si è data un'immagine accattivante sotto il segno della blue economy. Presente all'inaugurazione, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha parlato di «secolo blu», del mare che «è anche via di comunicazione, patrimonio ecologico e riserva alimentare» ma che «oggi è al centro delle contese geopolitiche, anche tecnologiche e industriali». Orchestrata dalla Marina Militare e dall'AIAD, la lobby confindustriale della difesa, SeaFuture ne è risultata una manifestazione fortemente sbilanciata in senso sicuritario e militare, una rinata “fiera navale bellica”: escludendo i 40 espositori esteri, dei 169 registrati con sedi in Italia ben il 67% sono aziende variamente impegnate nel militare e nella sicurezza, il 14% sono enti pubblici e militari e solo il restante 19% imprese civili operanti nell'economia marina.

Molti rappresentanti ufficiali si sono riferiti alla forte ricaduta della manifestazione sull’economia spezzina, una sopravvalutazione che non è sostenuta da elementi oggettivi. Intervistato sul tema, il vicepresidente della Camera di Commercio locale non ha saputo citare un solo dato al riguardo del comparto militar-navale, mentre ha esagerato quello degli espositori («oltre 230»). Al contrario, il peso del comparto militare grava moltissimo sul territorio di Spezia, innanzi tutto come eredità storica di una lunga vicenda urbanistica, che ha avuto i suoi momenti “militaristi” fondativi nella costruzione sabauda dell’Arsenale e poi nella “città nuova” cresciuta nel primo Novecento in funzione del nuovo porto e delle industrie belliche.

A cento anni di distanza, siamo di fronte a una realtà sociale ed economica radicalmente diversa. La Spezia non è più la città la cui popolazione crebbe più di ogni altra in Italia per periodo post-unitario (più di 7 volte tra 1861 e 1921, una crescita di 77.000 abitanti). In questo primo scorcio del XXI secolo l’impetuosa spinta offerta dalle localizzazioni industriali si è spenta, la città ha perduto il 30% degli abitanti rispetto al 1970 (da 130.000 a 92.000), molti di più che l’area provinciale (-11%). Quella di Spezia è la provincia italiana con il più basso tasso di crescita naturale, in cui i nuovi nati sono a malapena la metà dei decessi, e dunque qui il declino demografico ha prospettive irreversibili persino più rapide che nel resto della Liguria, regione italiana che detiene il record italiano di denatalità.

Dal punto di vista economico, la transizione post-industriale non si è ancora completata. Nei vent'anni 1991-2011 l’occupazione industriale è scesa dal 24,9 al 18,6%, valore inferiore sia alla media regionale che a quella nazionale. Il valore aggiunto industriale (manifattura e costruzioni insieme) è appena il 15% del totale provinciale. I punti forti dell’economia locale sono l’industria cantieristica da diporto, il turismo, la logistica portuale, mentre l’Arsenale ha perduto dal 1958 a oggi oltre 9/10 dei suoi occupati civili, ormai ridotti a circa 600 unità, mentre quelli militari dovrebbero ammontare a 100-120 in tutto...

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