Una corda di consolazione: la poesia

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Franco Arminio - Foto: Facebook.com

Abbiamo intervistato Franco Arminio, il poeta più letto sulla carta e in rete. Abbiamo parlato con lui di poesia e della figura del poeta nel mondo di oggi, indagando, per quanto possibile, la funzione della poesia in un presente storico di cambiamento, tanto complesso quanto affascinante.

Ho iniziato l’intervista a Franco Arminio con una domanda complessa, chiedendogli di inquadrare la poesia nel mondo di oggi. Precisamente, domandandogli in che direzione sta andando questo genere letterario in un momento in cui la rotta di molte cose, artistiche e non, è incerta, e di conseguenza, poco ordinata. Ma si sa, d’altro canto, che il caos non è solamente uno stato da temere, ma anche da osservare e questa premessa è la giusta presa di coscienza per ascoltare il poeta campano quando afferma che “ci sono varie esperienze poetiche”. E spiega: “sicuramente la rete favorisce una maggior discussione della poesia”, poi precisa, “ci può essere qualcuno che potrebbe pensare che la rete favorisca le poesie più semplici, più sentimentali”, ma comunque sia, sottolinea con tono deciso, “è indubbio che la rete favorisce anche la circolazione della grande poesia”.  

La condivisione della poesia in rete è un fenomeno ancora largamente discutibile, evidenzia in tutta sincerità Arminio, ma certamente, come lui stesso afferma, “alcuni lettori che leggono la poesia in rete poi la vanno a cercare altrove.”

Dove sta andando la poesia non lo può dire nessuno, nemmeno il poeta più letto degli ultimi tempi. Nonostante questa incertezza generale, comunque sia un chiodo fermo nel muro c’è, ed è il bisogno di leggere poesia, perché, per dirla come l’ha detta Arminio: “in un mondo impaurito la poesia non risolve nulla, ma qualche risposta la può dare.” E se il mondo fosse un corpo, il lavoro dei poeti sarebbe una spina dorsale: poco visibile ma necessario. Un lavoro-corda che lega le parole ai fatti. Nei versi dei poeti scorre il loro sangue, oltre che al loro pensiero. Per questo il poeta non può permettersi di essere una persona in via di estinzione, soprattutto in un periodo dove la testa del mondo deve rialzarsi, per guardare avanti. Non è un caso – sempre ammesso che esista un caso – infatti, che la poesia stia tornando ad adempire a una delle sue funzioni più virtuose: parlare alla gente. E l’esperienza di Arminio in questo è preziosa: “i miei scritti sono arrivati a più persone probabilmente perché sono dei testi consolanti”. 

L’uomo di Bisaccia non trova nulla di male, dice, “nel fatto che un poeta possa essere consolante e non consolatorio. Che un poeta”, continua chiaramente a raccontare, “possa scrivere poesie semplici e non facili”. Non c’è scritto da nessuna parte – fortunatamente – che la poesia debba “deprimere ulteriormente” o complicare la vita alle persone. “Se la poesia”, sostiene il poeta, “ha anche questa corda di consolazione, ben venga”.  

Il mondo sta assumendo visibilmente altre forme e in questo cambiamento “le persone che non trovano più consolazione nelle dirigenze politiche o nella religione”, parla ad alta voce Arminio, “stanno tornando a cercare qualcosa nella poesia”. Per questo l’invito del poeta è quello di scrivere poesie per gli esseri umani: “di scrivere delle poesie che rispondano alle esigenze delle persone”. Alla base di questa sua esortazione c’è una considerazione importante, come lui stesso sostiene: “il fatto che un individuo sia una persona normale e semplice, non significa”, evidenzia con sentimento, “che sia una persona stupida”. È sottointeso, sebbene Arminio lo ribadisca, che ognuno scrive quello che vuole e come vuole, ma chiaramente, vista anche la sua esperienza, lui crede in un tipo di poesia che non sia soltanto “un esercizio intellettuale” pensata e scritta solo per intellettuali. 

Arminio ha fede. Ha fiducia in quei versi che sappiano parlare alla gente, alla gente che li vuole raccogliere e bere per far germogliare l’animo, e di conseguenza, rinvigorire il corpo. Come si legge nel suo splendido passaggio in prosa La medicina cosmica all’interno del suo libro La cura dello sguardo: “curare un essere umano significa curare una persona immersa nel mondo e il mondo che è immerso in lui”. “La cura”, afferma Arminio, “è certamente il farmaco, ma è anche l’attenzione, la premura, la gentilezza.” 

Quello che può fare la poesia, ad esempio, è ricordare che un essere umano “non è soltanto una cosa legata agli organi che si possono infettare, ma è una cosa un po’ più complessa e delicata”. Poi anche l’amore può essere un elemento terapeutico, “non penso”, continua sorridendo, “che la poesia sostituisca una medicina, ma avere un approccio tecnocratico un po’ a tutto mi sembra profondamente fallimentare”. E prosegue: “è fondamentale tenere lo sguardo sulla nostra finitezza per far uscire la gloria dello stare al mondo”. È necessario rendersi conto che siamo esseri mortali per comprendere che la nostra esistenza è tanto immensa quanto fragile. “E la poesia”, spiega delicatamente il poeta, “allenandoci al pericolo, è un’ottima terapia: “se non ci alleniamo all’idea che siamo immortali”, continua, “quando arriva una malattia andiamo in crisi”. 

Per questo i poeti sono importanti, “per questo”, afferma Franco, “i medici devono studiare anche la poesia”, e aggiunge, “se si sta accanto ai malati, ai morenti, si deve aver avuto a che fare anche con persone che si sono occupate di queste cose.” Poeti e artisti tutti, devono occuparsi della morte tanto quanto della vita. “È osceno”, confessa Arminio, quando questo non accade, “perché la morte ci appartiene”, possiamo morire in ogni istante e prendere atto di questa eventualità, è iniziare a voler bene a sé stessi, appunto, perché la morte, intesa anche come strumento di gloria, o più realisticamente, come metro di misura, ci fa accorgere di essere al mondo.  

E l’atto di stare al mondo è la cosa più reale che ci sia. È una cosa naturale come il naso umido di un cane. È una cosa tanto semplice quanto complessa. Ma c’è da dire, anche, che la semplicità, come affermò il grande scultore Brâncusi, “è una complessità risolta” e in un presente complicato, un poeta che dona parole semplici al mondo, probabilmente, qualcosa del mondo ha compreso.

Francesca Bottari

Sono nata a Cles il 15 settembre 1984. Dopo essermi laureata in Lingue e Culture dell’Asia Orientale a Venezia, ho vissuto in Cina e in altre nazioni. In passato mi sono occupata di giornalismo e di inchieste. Oggi vivo a Bassano del Grappa, dove ogni giorno mi alleno a vivere scrivendo poesia: francescabottari.it

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