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Quando la finanza è del popolo
Diplomazia popolare
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Foto: Unsplash.com
Il concetto di finanza popolare è solo apparentemente una contraddizione, un ossimoro. Le origini della finanza sono comunitarie, ed appaiono oggi con una patina di romanticismo, e una nota nostalgica se pensiamo al vortice individualistico in cui si sono involuti i mercati di capitali. Analogamente a quello che potrebbe suscitare una sapiente statua scolpita in legno da un artigiano, graffiata dagli anni, al fianco di un’impeccabile opera realizzata con tecnologie 3D. Si è smarrita la funzione sociale, la missione, la musa ispiratrice. Il fatto che le parole finanza e popolo siano tutt’altro che inconciliabili ce lo dimostra, ancora una volta, la creatività di un italiano, la cui storia è per lo più andata dispersa, ma è bene ripercorrere.
Quello che sappiamo è che Lorenzo de Tonti fu un banchiere di origini napoletane, nato intorno al 1602, noto per aver fondato nel 1653 le “tontine”, un sistema finanziario di carattere associativo-assicurativo volto a facilitare la contrazione di prestiti dal popolo. De Tonti, che fu tra il resto governatore di Gaeta, mai si sarebbe immaginato che le sue “tontine” avrebbero avuto tanto riscontro e sviluppo nei secoli successivi tra i Paesi del sud del mondo. All’epoca l’italiano ideò questo intelligente esempio di economica sociale per rimpinguare le casse della Francia: infatti, lo stesso cardinale Mazzarino le utilizzò per fronteggiare il dissesto in cui versavano le finanze d’oltralpe. Si narra che grazie a quest’idea l’italiano ebbe pure un discreto successo alla corte di Luigi XIV. Nel sistema di Lorenzo de Tonti, il banchiere proponeva l’emissione di un prestito a favore dello Stato, che i cittadini potevano sottoscrivere corrispondendo un capitale allo Stato, il quale poi li avrebbe ripagati attraverso una rendita vitalizia. Il sistema venne poi ripreso e aggiustato alle necessità di vari popoli negli anni avvenire.
Si tratta essenzialmente di uno strumento di finanza popolare, in quanto contribuisce al progresso della sfera economica personale e al potenziale associativo del gruppo che vi partecipa. Si iniziava col formare un gruppo di risparmio nel quale tutti i partecipanti (normalmente donne, da qui il nome al femminile) si impegnavano a versare periodicamente una quota prefissata. Il capitale veniva così raccolto e prestato interamente ad un membro del gruppo, che aveva l’obbligo di investirlo nella propria attività, purché fosse produttiva e inserita nella comunità, in modo da provvedere al fabbisogno degli abitanti. L’accreditato veniva scelto per sorteggio, ordine di iscrizione oppure a maggioranza. Il rapporto di fiducia reciproca reggeva su solide basi: al beneficiario interessavano i soldi per poter espandere la sua bottega; cosí come agli altri membri del gruppo premeva che gli affari dell’attività andassero bene, affinché il titolare potesse ripagare il prestito concesso con i loro denari, al quale, naturalmente, si applicava un tasso di interesse. A scadenza il debitore rimborsava l’importo, e l’investimento generava cosí degli utili, che venivano spartiti tra i membri del gruppo, o, più comunemente, reinvestiti nella cassa solidale. A turno, i beneficiari del credito ruotavano, fino a quando si concludeva il ciclo e tutti i partecipanti avevano ricevuto i fondi.
Questi, in breve, furono i primi esperimenti di banca comunale autogestita, basata sul principio di fiducia reciproca e sul rispetto di regole ferree. Da qui l’importanza delle sedute di prova, prima di delineare il gruppo definitivo, dove l'aspetto sociale e ludico eguagliava in importanza quello economico. I partecipanti avevano bisogno di un periodo per conoscersi meglio, per verificare la volontà di far fede agli impegni finanziari, la puntualità agli incontri, prima di consolidare il legame. I fattori che inducevano le persone ad associarsi in strutture di mutua assistenza erano sempre gli stessi: l’instabilità dei redditi e l’assenza di previdenza sociale, piuttosto frequenti negli stati di quegli anni, disastrati dalla povertà e dalle disuguaglianze. Attraverso questa formula mista di risparmio e credito, dove uno era al contempo creditore e debitore, aumentavano le probabilità di stabilizzare i redditi e di poter contare su un importante sostegno sociale. Quando uno dei partecipanti moriva il capitale si distribuiva fra i restanti; in caso di morte di tutti i partecipanti alla tontina , il capitale poteva avere diverse destinazioni a seconda degli accordi presi.
Lo scheletro dello strumento di allora, basato sulla logica di solidarietà di un gruppo autoselezionato, è rimasto inalterato negli anni a seguire. Che sia familiare, di amicizia, professionale o perché appartenenti alla stessa tribù o alla medesima comunità territoriale, un legame forte è il perno su cui poggia l’impulso associativo ispirato da de Tonti. Ai giorni nostri, le “tontine” costituiscono forme di risparmio, di credito, e di investimento di primaria importanza per tante comunità africane (soprattutto in Senegal). I meccanismi di funzionamento sono evoluti in vari aspetti, dai regolamenti di credito sottoscritti dal gruppo, in cui si includono sanzioni e protocolli per rispettare la persona nella riscossione delle quote, alle varianti nel numero di appartenenti e importi da versare e prestare. Sempre in funzione di tre semplici principi: facile accesso al credito, gestione circolare del risparmio ed eliminazione di inoperose giacenze di liquidità. Aspetti che, inoltre, traggono notevole vantaggio anche alle comunità di migranti che sul nostro territorio soffrono di scarsezze economiche e limitato accesso al credito bancario.
Nonostante oggi, in molti casi, nell’Africa Subsahariana il servizio sia offerto da piccole banche locali, le iniziative autogestite non mancano. Cosí dicendo, mentre scrivo, numerosissimi gruppi di donne africane si staranno riunendo presso la casa di colei che ha ricevuto il denaro per bere qualcosa in compagnia, ascoltare musica e versare le quote mensili alla cassa solidale, sotto la guida della mére del gruppo, tendenzialmente la più anziana tra le partecipanti. In questo angolo di emancipazione da mariti e famiglie, le signore si sentono unite in una sorta di terapia di gruppo. Ovunque, che si chiamino “tontine” nei paesi francofoni, djanggis in Camerun, osusu in Gambia, shaloogo in Somalia, o muvandimwe in Rwanda, saranno disposte ad aiutarsi vicendevolmente, per un parto o una malattia. Nella stessa riunione, decideranno infine se destinare una parte dei fondi ad altri fini, come una festa comunitaria, una cerimonia o una piccola infrastruttura. E, forse, per questo possiamo ringraziare anche il personaggio di Lorenzo de Tonti: un compaesano da ricordare.
Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.