Missioni militari: Tavola della Pace chiede un 'impegno' diverso

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Pur non chiedendo un "disimpegno" dell'Italia dall'Afghanistan ma "un diverso e maggiore impegno per la risoluzione dei gravissimi conflitti aperti" la Tavola della Pace chiede al Governo italiano di guardare alla situazione in Iraq>, in Afghanistan e negli altri luoghi di conflitto con realismo e senso di responsabilità" e di "passare dall'impegno militare ad un impegno politico e civile a fianco delle popolazioni vittime delle guerre, dell'oppressione e della miseria.

"Tutti gli osservatori riconoscono che la guerra decisa e condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan è un fallimento. Il problema è sempre il solito: è facile fare la guerra, ma è difficilissimo costruire la pace che può far rinascere un paese martoriato dalla guerra. La guerra è uno strumento incapace di risolvere i problemi che pretende di risolvere" - scrive la Tavola della Pace. "Se la guerra è lo strumento sbagliato non è meglio cercare altre strade più efficaci? Un altro "impegno" è possibile: più Onu, più rispetto del diritto e della legalità internazionale, più sicurezza comune, più aiuti economici diretti alla popolazione e per la ricostruzione del paese, più impegno per la tutela dei diritti umani". "Gli stessi soldi (320 milioni di euro all'anno) che abbiamo speso per la missione militare in Afghanistan possono dare ben altri frutti se diversamente" - sottolinea la Tavola della Pace.

La Tavola invita inoltre Parlamento e Governo italiano a "farsi promotori del definitivo chiarimento circa la distinzione tra operazioni militari di guerra -vietate dal vigente diritto internazionale- e autentiche operazioni di polizia internazionale (militare e civile)". "La forte iniziativa del governo italiano deve essere inquadrata in una più ampia e organica strategia intesa a valorizzare la centralità delle Nazioni Unite nel sistema delle relazioni internazionali e, allo stesso tempo, a promuoverne senza indugio la democratizzazione in termini di democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa sulla base delle proposte elaborate a partire dal 1995 dall'Assemblea dell'Onu dei Popoli".

Intanto ieri mattina alcuni esponenti del movimento "No War" e i Senatori del Prc hanno avuto il primo degli incontri in cantiere tra il "Comitato per il ritiro dei militari italiani" ed i gruppi parlamentari della sinistra al Senato. La scelta dei "No War" non è casuale, al Senato infatti il margine di manovra sul decreto per rifinanziare le missioni militari italiane all'estero è assai più esiguo per il governo Prodi e se i senatori della sinistra decidessero di non votare il decreto si aprirebbe un serio problema di Governo. Gli esponenti del Comitato per il ritiro dei militari italiani hanno sottolineato la mancata discontinuità del nuovo governo con quello precedente nelle scelte di politica estera. Sull'Iraq "si è allungata nei tempi una decisione condivisa come quella del ritiro" mentre sull'Afganistan "si continua a rinnovare la subalternità alla Nato" e a lasciar trapelare un possibile maggiore impegno militare dell'Italia in una regione dove tutti gli osservatori concordano nel definirla assai più difficile di quella irachena.

Il ministro della Difesa Arturo Parisi ha definito però "opportuna ed importante" la nostra presenza militare in Afghanistan, aggiungendo che il governo "intende proporre al Parlamento di continuare nel nostro impegno, assicurando una presenza di forze analoga per entità a quella dispiegata in passato... nella sua qualità e composizione ridefinita in modo da corrispondere agli impegni operativi assunti dal nostro contingente". "Non rimarremo a metà in Afghanistan" - ha detto Parisi in occasione della chiusura dell'anno accademico del Centro alti studi difesa (Casd), ribadendo che l'impegno nel Paese non è in discussione.

Parisi ha parlato di una presenza "analoga per entità a quella dispiegata in passato", lasciando capire che non sia dunque escluso un forte incremento numerico dei nostri militari, che in passato sono arrivati a punte di circa 2.400 uomini in Afghanistan. Attualmente i militari italiani impegnati nel Paese sono circa 1.200: i due terzi nella capitale Kabul, e il resto nella zona di Herat, nell'Afghanistan occidentale, dove l'Italia ha la guida di una struttura di cooperazione civile-militare (Prt) e il controllo della Regione ovest, sempre nell'ambito di Isaf. [GB]

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