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Equo, risposta a Zanotelli da Roba
Consumo critico
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Alla lettera di Alex Zanotelli sulle prospettive del commercio equo risponde Monica Di Sisto, componente di Roba dell'Altro Mondo - centrale d'importazione del commercio equo. "Alex, sai che in Belgio e in Francia i Governi stanno cercando di imporre delle normative che riducono il commercio equo a standard per i prodotti presenti nella grande distribuzione? E proprio dalle organizzazioni italiane parte l'argine a questa deriva". "Questo è possibile proprio perché il movimento italiano è l'unico che ha salvaguardato, nei fatti, la centralità delle botteghe e della politica nel sistema" precisa Monica Di Sisto secondo cui nella rete del commercio equo molte organizzazioni sono "molto meno sensibili ad alcuni temi dei più insensibili tra noi". "Una piccola osservazione economica sulla sobrietà: la crescita dei consumi individuali di prodotti equosolidali non equivale, automaticamente, in consumismo. Può voler dire che alcune persone, potendo contare su una varietà di prodotti sempre maggiore, stanno spostando quasi tutta la propria spesa quotidiana dentro i canali equosolidali" scrive Di Sisto "Magari tagliando tante spese inutili che prima facevano al supermarket".
LETTERA
Car* tutt*, voglio condividere con Alex e voi tutti alcune riflessioni da persona che ama la pratica del Comes e, come molti di noi, la vive cercando di mettere sempre al primo posto la cornice politica che la contiene, per leggerla, analizzarla, modificarla.
Sono d'accordo con chi si lascia interrogare profondamente dalle domande di Alex, voglio farlo. Sono meno d'accordo con chi utilizza Alex e la sua specchiata onestà personale come "clava etica" rispetto al movimento, per condurre battaglie di principio che avrebbero bisogno di spazi diretti, nelle nostre fiere, in Agices, ma anche nelle botteghe, dove ci si possa confrontare con storie e dati alla mano. Con Alex ci conosciamo da anni, gli voglio bene. Mi piacerebbe tornare a vederlo seduto nelle nostre assemblee, come quella generale dell'Agices, che, con tutti i limiti delle cose umane, sta cercando di aprire uno spazio partecipato e attivo, ad ascoltare, prima di produrre un documento articolato che senza dubbio discende dalla sua saggezza ed esperienza, ma non tiene conto della fatica che molti di noi stanno facendo, a partire dalle bdm, per promuovere proprio quel profilo politico del comes cui Alex tiene tanto.
Alex, sai che in Belgio e in Francia i Governi stanno cercando di imporre delle normative che riducono il commercio equo a standard per i prodotti presenti nella grande distribuzione? In realtà non sono soltanto i Governi cattivi a volerlo, ma anche organizzazioni di commercio equo che vogliono deregolare il mercato equo.
Alex, sai che se in Europa oggi c'è un argine a questa deriva, che alcuni vorrebbero tradurre presto in legge europea, esso è rappresentato proprio dalle organizzazioni italiane che partecipano i coordinamenti europei con un senso di responsabilità e un dispiego di energie molto forti?
Sai che questo è possibile proprio perché il movimento italiano è l'unico che ha salvaguardato, nei fatti, la centralità delle botteghe e della politica nel sistema? Non dico che sia santo, o perfetto. Tutt'altro. Dico che la realtà che ci circonda è molto meno sensibile ad alcuni temi dei più insensibili tra noi. In diversi all'assemblea Ifat di quito si sono sentiti apostrofare come "affamatori di produttori" solo perché volevano parlare di regole e di quadro internazionale, e non solo di profitti o di standard di qualità.
Il commercio equo, lo sai meglio di me, non è nato in tutto il mondo allo stesso modo. Le organizzazioni pioniere del comes europee (e statunitensi, australiane, ma anche molti dei produttori più antichi e organizzati) sono nate con l'idea, che continuano a sostenere, che l'accesso al mercato per i produttori del sud sia il cuore del commercio equo. Questa è la faccia oscura della medaglia dello slogan "Trade, not aid". Più aumenti i volumi di vendite dei produttori, meglio fai il tuo lavoro, sostengono. L'idea del commercio equo come consumo critico, politico, decrescita è essenzialmente italiana. I francesi, ad esempio, che sono tra i più politici, come network nazionale hanno un'area ong, molto politica, che segue campagne e progetti, e un'area commerciale, che vende e più o meno basta. Conosco la tua esperienza diretta in Africa con alcuni soggetti del Comes, le amarezze che ne hai tratto e che ho condiviso in quei giorni, parlandone come giornalista e aiutandoti a vendere borse e batik come amica. Oggi, però, gli importatori sono ben dieci, alcuni nascono proprio come botteghe, e molti di essi sono nati appunto per stabilire una relazione diversa con i produttori e le loro comunità. Ci sono anche botteghe che importano direttamente in un'ottica di cooperazione dal basso al basso. Perché non partire da queste esperienze per capire come rafforzare l'intero movimento, insieme, concretamente? Perché non cominciare a raccontare anche meglio i produttori, la loro realtà locale, quali di essi sono ormai piccole/medie imprese o medio/grandi centrali di raccolta, quali invece sono ancora in fondo alla filiera e faticano a trovare interlocutori e garanzie, per capire come dare corpo alle tensioni che tu denunci?
Sai che non amo la grande distribuzione, ma quante volte anche tu hai ascoltato Francuccio Gesualdi spiegarci che è velleitario chiedere a Paesi completamente dipendenti da materie prime coloniali (caffè, Tè, zucchero) di smettere di produrre, e che le bdm non sono in grado di assorbire i volumi di produzione necessari a non sbattere sul lastrico migliaia di piccole comunità locali? Sai che si sono aperte per questi prodotti altre filiere di distribuzione, come le mense, gli appalti pubblici, i distributori automatici? E' grande, piccola, media distribuzione? Fanno politica le macchinette automatiche? E i prodotti di bellezza? Io non ho la risposta, e mi piacerebbe discuterne senza pregiudizi. Sai che proprio grazie a un percorso svolto all'interno di Agices gli importatori che operano all'interno della GDO hanno un luogo nel quale presentare risultati e tendenze di queste relazioni? Quale migliore occasione per presentare obiezioni, rilievi, proposte?
Una piccola osservazione economica sulla sobrietà: la crescita dei consumi individuali di prodotti equosolidali non equivale, automaticamente, in consumismo. Può voler dire che alcune persone, potendo contare su una varietà di prodotti sempre maggiore, stanno spostando quasi tutta la propria spesa quotidiana dentro i canali equosolidali. Magari tagliando tante spese inutili che prima facevano al supermarket. Anch'io soffro un po' a vedere fiorire snack e ammenicoli vari nelle bdm, ma parliamo di questo in modo laico. Trasformare le materie prime nei Paesi dalle quali provengono permettono ai produttori di trattenere una percentuale maggiore di guadagno. Molti di quei prodotti nascono così. E consideriamo anche il valore di esperienze che vedono cooperative sociali con soggetti svantaggiati, oppure piccoli artigiani, trasformare le materie prime ex coloniali in prodotti tipici del nostro paese, salvaguardando tradizioni antiche e preziose. Ci sono delle storture che ci portano lontano? Parliamone caso per caso. La prossima assemblea Agices avrà al centro del suo dibattito la questione del prezzo: trasparente, meno, la sua costruzione, la sua suddivisione lungo la filiera. Quale occasione migliore per entrare nei dettagli?
Da utlimo la butto in politica. Nella giornata globale di azione sul commercio internazionale (aprile 2004) la stragrande maggioranza delle 55 città italiane che si sono mobilitate lo ha fatto per iniziativa, o vedendo come protagoniste, botteghe e reti locali del comes? Idem per la campagna La via del cotone. Idem quando abbiamo protestato contro i coordinamenti europei di commercio equo perché non chiedessero soldi ai G8 per finanziare le reti equosolidali. Riconoscerai che questo stesso impegno, che anche tu hai contribuito a costruire, è cresciuto dai tempi di Seattle. Sai che quest'anno alla ministeriale della Wto di Hong Kong le organizzazioni del comes dovrebbero presentarsi unite con un documento di accusa dell'agenda della Wto, che personalmente sto contribuendo a costruire, e che lo dovremo in gran parte al lavoro e al profilo politico del comes italiano degli ultimi anni?
Insomma: le botteghe devono crescere e non smarrire la strada? Tutto il comes italiano può e deve fare una severa analisi e critica quotidiana della propria azione. Ma ciascuno di noi deve farlo, e tenendo presenti tutti i cambiamenti intercorsi nel mondo equosolidale fino ad oggi. Nessuno di noi può ritenersi a prescindere immune da contraddizioni, imprecisioni, fragilità. Il comes può essere migliore di così? Senza dubbio. Ma ragioniamo di azioni concrete, di politiche, di numeri, di piani commerciali coerenti per importatori e distributori. La ricerca delle università di Milano sul mondo del comes in elaborazione sta dimostrando che, nonostante i margini di utile siano molto risicati, la maggior parte dei soldi che incassano le botteghe li investono in promozione, sensibilizzazione e educazione. Giro tante botteghe per fare incontri, i limiti li vedo, anche loro vedono i miei. Ma vedo anche cose meravigliose. Mi viene da dire che è difficile essere una bottega nelle nostre città. Molte stanno chiudendo, molte fanno fatica, e spesso sono proprio quelle più politiche, o quelle che si sbattono nei territori più difficili. Sogno un cantiere, promosso da tutti i protagonisti del comes, da Assobdm, alle centrali, ai consorzi, ad Agices, a tutti gli amici del comes, compreso tu alex, nel quale capire come lavorare meglio insieme, come custodire sempre meglio questo patrimonio, senza fermarsi a insegne, mobiletti e vetrine. Ma senza fermarsi nemmeno alle sole mazzate. Un abbraccio, e scusate la lunghezza
di Monica Di Sisto, componente di Roba dell'Altro Mondo -centrale d'importazione del commercio equo