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La diaspora bolivariana che non conosce sosta
Popoli minacciati
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Foto: Unsplash.com
Non c’é pandemia che tenga. Anche durante il 2020 le persone hanno continuato ad emigrare per scappare da povertá, ingiustizia, violenze, insicurezza e minacce. In Centro America, dopo mesi di minore attivitá a causa del Covid-19, lo scorso ottobre sono riemerse le carovane di migranti, dall'Honduras o dal Guatemala verso gli Stati Uniti. In Venezuela, a tutto questo si aggiunge anche la fame, e l’approvvigionamento di medicinali e di servizi essenziali, che il paese guidato da Maduro non riesce a garantire ai propri cittadini, ancor meno in questo mesto periodo. Negli anni, i dettami voluti dalla Rivoluzione Bolivariana hanno portato il paese a livelli di povertá comparabili a certi paesi dell’Africa Sub-Sahariana, dove la repressione politica, la mancanza di stabilitá e la sproporzionata violenza politica e criminale sono ormai d’abitudine, e i fasti del Grande Venezuela solo un ricordo sfuocato.
Il coronavirus é semplicemente una preoccupazione in piú, relativamente prioritaria. D’altronde, come ci si puó confinare quando non si ha un tetto o un lavoro? Come evitare il contatto con altre persone quando si vive in condizioni di affollamento in un campo profughi o in piccole baracche di lamiera? Da diversi anni nel paese caraibico si deve lottare con la sopravvivenza. Ormai c'è carenza di tutto: dal cibo alle medicine piú comuni e gli oggetti più basilari, come saponi e pannolini. Le organizzazioni umanitarie come Caritas non dispongono di sufficienti piatti e posate per distribuire pasti gratuiti che preparano quotidianamente agli angoli delle strade: solo chi porta il proprio piatto o contenitore può mangiare qualcosa. Le file per la distribuzione di alimenti sono lunghissime e la tensione é alta. Coloro che devono recarsi in un centro sanitario, spesso devono pagare per le proprie medicine e per strumenti come cateteri o siringhe. Più di un terzo dei 66.000 medici autorizzati ha già lasciato il paese, e il numero di professionisti sanitari è in costante diminuzione.
Si é tornati a costruire case con legno e argilla, specialmente nelle zone rurali, una pratica che risale all'epoca precolombiana. Sotto questi tetti di solito non c’é né acqua corrente né elettricità. In alcune cittá del Venezuela l’acqua corrente arriva alle case solo per poche ore, tre giorni alla settimana, costringendo la popolazione a riempire qualsiasi recipiente per creare le scorte necessarie. Uno dei maggiori paradossi é infine legato alla produzione di petrolio: il paese con le piú estese riserve di petrolio del mondo deve importare petrolio dall’Iran, dato che i suoi impianti di raffinazione sono esageratamente fatiscenti e inefficienti. Questo, mentre la popolazione patisce pure la scarsitá di benzina.
All’interno di questo contesto si capisce come i fenomeni di violenza, delinquenza e gli scontri con le forze armate sono incrementati notevolmente: nel 2020, nonostante le limitazioni alla mobilitá, secondo l'Osservatorio Venezuelano sulla Violenza, le morti associate a vicende di violenza e aggressioni sono state maggiori rispetto alle morti – ufficiali - causate dal Covid-19.
Il crollo subito dal paese é talmente evidente e sotto gli occhi di tutti, che é diventato impossibile negarlo anche nelle parole del suo discusso presidente. Pochi giorni fa, nella sua relazione annuale alla nazione, Nicolas Maduro ha infatti ammesso che gli indici di disoccupazione e povertà sono aumentati, anche se in termini minori rispetto ai dati diffusi dalle organizzazioni non governative che operano sul territorio. In riferimento alle casse dello Stato, ha poi riferito: “siamo passati da avere più di 50.000 milioni di dollari di entrate nel 2013 ad avere solo 743 milioni nel 2020", di fatto certificando una caduta debordante dell’economia del 98,6% nei 7 anni in cui lui ha guidato il paese. Secondo il tasso di cambio della Banca Centrale del Venezuela (BCV), attualmente il salario minimo mensile è inferiore a un dollaro.
L’emigrazione venezuelana é un fenomeno innegabile che ha radici nel governo di Chavez, ma che é poi definitivamente esploso con Maduro. I venezuelani costituiscono il gruppo più numeroso di migranti e rifugiati, in tutta la regione latinoamericana. Secondo l’ultimo report reso disponibile dall’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati (Acnur), ad oggi, 5,4 milioni di rifugiati e migranti venezuelani risiedono in altri paesi del mondo, dei quali 4,6 milioni si trovano in paesi dell’America Latina. I tre principali nuclei di “accoglienza” sono la Colombia, con 1,7 milioni, il Perù, con un milione, e il Cile, con 457 mila. Ancora una volta, i dati di Acnur scuotono l’opinione pubblica sul complesso problema della migrazione venezuelana, con la ferocitá di cui i dati sono capaci, ma i cittadini di questi paesi vedono la disgrazia venezuelana quotidianamente coi loro occhi.
Durante i mesi di isolamento, per le complicazioni lavorative affrontate, c'è stato un flusso disperato di venezuelani che si é rimesso in marcia chiedendo di rimpatriare, ma i confini aerei e terrestri con il loro paese di origine sono stati chiusi. Di fronte alla richiesta dei venezuelani, il governo del presidente colombiano Iván Duque ha iniziato a finanziare autobus - circa 1.200 - per trasportare queste persone al ponte Simón Bolívar, il principale valico di frontiera tra la Colombia e il Venezuela. Tuttavia, il governo di Nicolás Maduro, ha accusato la sua controparte colombiana di "inviare persone infette nel loro territorio", avviando cosí una disputa diplomatica che non ha giovato a nessuno. Mentre migliaia di donne, uomini e bambini si trasferivano da un luogo all'altro in cerca di un rifugio contro il coronavirus e un lavoro contro la fame. Situazioni che si sono viste ripetere alle frontiere con Brasile o Perù.
Negli ultimi mesi, invece, con l'allentamento delle misure di biosicurezza e l'apertura economica, il flusso migratorio in uscita ha ripreso i suoi ritmi. Fiumi di persone, all’interno dei quali non si é piú in grado di distinguere quali sono le persone che stanno tornando per la seconda volta nei paesi ospitanti e quali sono le nuove migrazioni. Quello che é facile determinare é che la maggior parte si affida all’emigrazione irregolare, passando per tracciati pericolosi e affidandosi alle mani dei trafficanti.
Dopo essere stato asilo per tanti migranti in fuga dalla guerra, le repressioni e l’intolleranza del Vecchio Continente, ed averne accolti altrettanti per la sensazionale crescita economica sperimentata fino agli anni ’90, gli ultimi anni hanno decretato un capovolgimento totale di sorte, e un fallimento istituzionale definitivo, delineando i contorni di quella che viene ormai chiamata “la diaspora bolivariana”.
Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.