Sbagliati i calcoli sul carbone

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Dalla Gran Bretagna arriva la notizia che i minatori e i sindacati inglesi e gallesi che si ribellarono al governo neoconservatore Margaret Thatcher (l’apripista all’ideologia iperliberista che sta ancora dominando il mondo) non avevano poi tutti i torti, visto che si sta pensando di riaprire le loro miniere, rese antieconomiche dalla globalizzazione, perché conterrebbero carbone di qualità e meno inquinante richiesto dalla siderurgia britannica e europea. Carbone e ambiente però non vanno mai molto d’accordo, e per il pianeta (dunque, per noi tutti) arrivano pessime notizie dall’ultimo studio in merito pubblicato su Environmental Research Letters, Commitment accounting of CO2 emissions.

I ricercatori delle università della California-Irvine (Uci) e di Princeton dicono che i calcoli sulle emissioni delle centrali elettriche a carbone presenti in tutto il mondo sono sbagliati e che nel  corso della loro durata di vita emetteranno più di 300 miliardi di tonnellate di CO2 in più di quanto si prevedesse, aggiungendo così molto gas serra in atmosfera. I risultati dello studio sono i primi a quantificare quanto velocemente queste emissioni “committed” sono in crescita, circa il 4% all’anno, mentre si continuano a costruire sempre più centrali a combustibili fossili. Se queste centrali avessero una durata di vita operativa di 40 anni, durante la loro esistenza le centrali a carbone costruite nel mondo nel solo 2012 produrranno circa 19 miliardi di tonnellate di CO2.

Il principale autore dello studio, Steven Davis, che insegna Earth system science all’Uci, sottolinea che «abbattere le emissioni di carbonio significa mandare in pensione più impianti di combustione di fossili di quanti ne costruiamo. Ma negli ultimi dieci anni, in tutto il mondo, abbiamo costruito più centrali elettriche a carbone che in ogni decennio precedente, e le chiusure dei vecchi impianti non stanno al passo con questa espansione Lungi dal risolvere il problema del cambiamento climatico, stiamo investendo molto in tecnologie che peggiorano il problema».

Secondo lo studio la CO2 emessa dalle centrali elettriche esistenti rappresenta una parte sostanziale del bilancio di emissioni che dovrebbe mantenere l’aumento delle temperature entro i 2 gradi centigradi in più rispetto all’era preindustriale. Le centrali elettriche attualmente in servizio negli Usa e nell’Unione europea rappresentano rispettivamente circa l’11% e il 9% delle emissioni degli impegni di riduzione presi, ma lo studio evidenzia che «tali impegni sono stati costanti o in calo negli ultimi anni. Aumentare gli impegni in tutto il mondo, quindi, rifletterebbe la rapida crescita del settore energetico della Cina dal 1995, così come i nuovi impianti nei Paesi in via di sviluppo come India, Indonesia, Arabia Saudita e Iran».  Solo le centrali a carbone di Cina e India rappresentano il 42% e l’8% delle future emissioni previste.

Circa due terzi di queste emissioni dell’industria energetica sono dovute alle centrali a carbone. La quota di impegni relativi alle centrali a gas, che emettono meno CO2 di quelle a carbone, dagli anni è aumentata dal 15% degli anni ‘80 al 27% per cento nel 2012. Davis e l’altro autore dello studio, Robert Socolow, professore emerito di ingegneria meccanica e aerospaziale a Princeton, pensano che i risultati potrebbero essere utilizzati dai responsabili politici di valutare gli impatti climatici a lungo termine degli attuali investimenti nelle infrastrutture energetiche «ci stiamo nascondendo da soli cosa sta succedendo: un futuro high-carbon viene blindato dagli investimenti mondiali di capitali. Le attuali convenzioni sulla trasmissione dei dati e la presentazione di scenari per l’azione futura necessitano di dare maggiore risalto a questi investimenti. Questo riequilibrio dell’attenzione rivelerebbe l’inesorabilità di un’industrializzazione basata sul carbone, lungo una strada che non sta mostrando alcun segno di cedimento».

Umberto Mazzantini da Greenreport.it

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