Lav: Giappone vuole commercializzare la caccia alle balene

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La LAV esprime preoccupazione per il possibile rischio di un colpo di mano del Giappone, interessato ad assumere il controllo della Commissione Internazionale sulle Balene (IWC) e consentire così la riapertura della caccia "commerciale" ai grandi cetacei, vietata in tutto il mondo da vent'anni.

"L'atteggiamento aggressivo del Giappone, già visibile nell'ultimo meeting della Commissione Internazionale Baleniera, svoltosi quasi un anno fa in Corea, si starebbe ora concretizzando con l'acquisto di voti dei Paesi membri più piccoli, tramite pacchetti di aiuti esteri, per costruirsi una maggioranza nella Commissione e giungere alla revoca della moratoria sulla caccia commerciale - dichiara Maria Teresa D'Agostino, responsabile LAV settore pesca e itticoltura - Questo sarebbe un gravissimo danno per i cetacei, di cui molte specie sono in via d'estinzione, anche a causa del metodo cruento con cui vengono uccisi."

Il Giappone ha dichiarato di voler raddoppiare la sua caccia alle balene Minke - da 440 a 850 l'anno - e di voler estendere la caccia a specie minacciate, avanzando discutibili motivazioni scientifiche. La caccia alle balene, nonostante la moratoria della caccia a scopo commerciale, stabilita nel 1986 dall'IWC, continua ogni anno a uccidere 1400 grandi cetacei, a opera di balenieri norvegesi e giapponesi, in operazioni di caccia cosiddetta "scientifica". A Norvegia e Giappone - paesi in cui la carne dei grandi cetacei è liberamente consumata - nel 2003 si è aggiunta l'Islanda che ha ucciso nello stesso anno oltre 30 balenottere per discutibili scopi di "ricerca".

"L'appello della LAV è che la Commissione Baleniera Internazionale possa operare scelte più decise in funzione anticaccia, prima che la politica dell'acquisto dei voti da parte del Giappone porti a gravissimi danni - prosegue Maria Teresa D'Agostino - Il Giappone non tiene in alcuna considerazione il fronte sempre più ampio di dissenso internazionale nei confronti della caccia alle balene, nega l'evidenza scientifica di intere popolazioni di questi cetacei ormai al collasso e non considera in alcun modo le implicazioni etiche di questo tipo di caccia cruenta che, a causa delle dimensioni di questi mammiferi, non consente la pratica di una morte che sia almeno rapida e indolore".

Il metodo di uccisione impiegato per la caccia alla balena, l'arpione a granata di pentrite, si è dimostrato inefficace nel provocare quella che dal 1957 l'IWC ha definito "uccisione umana": il processo per cui gli animali sono resi immediatamente insensibili fino al sopraggiungere della morte. Da quell'anno, infatti, la Commissione Baleniera (IWC) si occupa di esaminare i problemi relativi al benessere animale. L'esplosione della granata di pentrite, progettata per esplodere all'interno del corpo della balena, crea un'ampia ferita, di almeno 20 cm di larghezza, le cui dimensioni triplicano quando gli ardiglioni dell'arpione si uncinano nel corpo della balena. Malgrado la potenza dell'arpione esplosivo, per "finire" le balene, ma anche come metodi di uccisione primari, si ricorre spesso ad altri strumenti, come fucili o arpioni non esplosivi.

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