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Greenpeace: è morto l'accordo di Copenhagen, anche l'Ue ha giocato al ribasso
Cambiamento climatico
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"E' morto l'accordo di Copenhagen". Lo afferma un comunicato di Greenpeace che evidenzia come entro il 31 gennaio scorso i Paesi partecipanti avrebbero dovuto comunicare i propri impegni di riduzione dei gas serra. "In realtà hanno sostanzialmente mantenuto gli stessi resi noti prima del summit, che ci porteranno dritti a un aumento di temperatura stimabile in +3/3,5 °C". "La comunicazione di impegni ambiziosi, entro il 31 gennaio, doveva essere il primo "punto d'azione" di un accordo non vincolante stilato da alcuni Paesi, e adottato da molti altri, durante il Summit sul clima di Copenhagen dello scorso dicembre.
"Si è rivelato, invece, una presa in giro per prendere tempo. Solo un cinico esercizio di pubbliche relazioni per riciclare proposte vecchie, inutili e pericolose" - denuncia Greenpeace. "Se i grandi inquinatori del clima non sono riusciti a proporre niente di nuovo sulle emissioni, come possiamo credere che davvero entro il 2012 trovino i nuovi fondi promessi per sostenere i Paesi in via di sviluppo nel contenimento degli effetti del cambio climatici?"
Secondo l'associazione l'accordo di Copenhagen si è dimostrato un pericoloso "green-washing" per spacciare come azione efficace la trita ripetizione di obiettivi che di fatto portano a una riduzione delle emissioni per i Paesi industrializzati solo dell'11-19% (6-14% senza crediti forestali). "Per giungere all'obiettivo dei 2°C di aumento massimo, le riduzioni di emissioni di gas serra (rispetto al 1990) devono essere del 40% entro il 2020". "Anche i Paesi in via di sviluppo devono ridurre le emissioni del 15-30% rispetto al trend attuale, sempre al 2020. Un processo che deve essere sostenuto da nuovi investimenti, per un totale stimato in 140 miliardi di dollari l'anno, che consentano a questi Paesi di passare a tecnologie pulite e di resistere al meglio al disastro climatico".
Le conseguenze di questo suicidio planetario sono illustrate dal rapporto di Greenpeace "Il Terzo Grado", una sintesi in italiano del briefing di Greenpeace International "The Third Degree" che esamina le implicazioni degli impegni di riduzione di emissioni di gas serra comunicati dalle Parti dell'United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) prima del summit di Copenhagen e ne descrive le conseguenze sull'incremento delle temperature e gli impatti conseguenti.
L’Onu aveva chiesto alle nazioni di redigere i propri impegni volontari che sono stati consegnati ufficialmente il 31 gennaio e che sono stati resi pubblici sul sito stesso delle Nazioni Unite; impegni subordinati ad un accordo globale da firmare, si spera, alla Conferenza in Messico di fine anno, con la meta finale di porre il mondo sulla strada per limitare l’aumento della temperatura globale di non oltre di due gradi Celsius.
Un'impotenza ammessa anche dal segretario esecutivo dell'Unfccc Yvo de Boer che ha detto a Davos di non poter garantire la riuscita della prossima Conferenza in Messico e che sia possibile ottenere un trattato giuridicamente vincolante in sostituzione del Protocollo di Kyoto che scade nel 2012.
Nei giorni precedenti Greenpeace aveva denciato che "l'Unione europea ostenta erroneamente il suo 20% come un obiettivo ambizioso, mentre in realtà è solo la metà di ciò che è necessario". Alessandro Giannì, direttore delle campagne dell’associazione, aveva così commentato la lettera inviata alle Nazioni Unite dalla Ue in cui si conferma l’impegno meno gravoso in termini di riduzione delle emissioni ed un taglio del 30% solo a condizione che gli altri paesi eguaglino lo sforzo.
Per l’organizzazione ambientalista si tratta dell’ennesima occasione persa per riconquistare quella leadership climatica che all'inizio dei negoziati l’Unione poteva vantare. “L'Ue – commenta Giannì – sta cominciando a diventare un disco rotto. L'unico modo in cui può avere un peso sullo scenario internazionale è aumentare incondizionatamente al 30% i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Ciò spingerebbe i Paesi industrializzati verso quel 40% di riduzione globale che la ricerca scientifica indica come necessaria per salvare il clima del Pianeta”.
Anche per il WWF il target europeo del -20% è molto debole. "Praticamente si dovrebbe rallentare il tasso di decrescita della CO2 degli ultimi 3 anni se vogliamo limitarci a tale obiettivo" - commentava - ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia. "Insomma, avvantaggiandosi dei risultati dell’industria delle rinnovabili e facendo un po’ di progetti all’estero, alcuni dei quali impresentabili, l’Europa potrebbe raggiungere il -20% senza attuare nessun cambiamento nelle industrie inquinanti. E questa sarebbe la leadership europea? Così facendo, la UE abdicherebbe di fatto a una supremazia negoziale, e non solo sul clima, e si consegnerebbe come ostaggio di USA e Cina, dopo aver fondato sul clima e sulla sicurezza energetica tutta la propria politica".
Secondo il WWF si tratterebbe di "un atteggiamento attendista che fa perdere autorevolezza all’Europa rispetto al quadro geopolitico mondiale. Ma anche la rinuncia a un’occasione per risparmiare massicciamente energia e creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro in industrie dal futuro certo, per difendere industrie dal futuro compromesso". [GB]