Carpi e la sfida del cotone bio-equo

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Il cotone: una sfida a più piani
Un'impresa ogni 8 abitanti: Carpi è uno dei distretti industriali più antichi del nostro Paese. Secondo l'Osservatorio sul Tessile-Abbigliamento, promosso dall'Assessorato Politiche per lo Sviluppo Economico del Comune, il comparto della maglieria e confezione si conferma il settore manifatturiero più importante del distretto di Carpi. Occupa infatti, secondo il sesto rapporto dell'Osservatorio, oltre 9.000 addetti, distribuiti in più di 1.600 imprese per un fatturato annuo che sfiora il miliardo di euro, di cui il 38% destinato all'export. Ma una concorrenza internazionale spietata che non tiene conto dei mercati locali e della qualità, sostenuta con lo sfruttamento dei lavoratori nei Paesi più poveri, le regole inique del commercio internazionale tutelate dalla Wto, rischiano di marginalizzare e soffocare il distretto. Carpi presenta una diminuzione del fatturato 2003 sul 2002 del -3,8% a prezzi correnti, soprattutto sui mercati esteri.

Carpi e la crisi del settore tessile
Il sistema economico-produttivo di Carpi è ormai da diversi anni uno dei più importanti distretti industriali del Tessile Abbigliamento dell'Italia. La presenza diffusa di piccole e medie imprese sul territorio, la rilevanza di una rete di rapporti interaziendali a specializzazione flessibile, l'intreccio fra sistema economico-produttivo e sistema socio-culturale sono i caratteri peculiari del modello distrettuale. Secondo il sesto Rapporto dell'Osservatorio sul Tessile-Abbigliamento promosso dal Comune, il settore occupa oltre 9.000 addetti, distribuiti in più di 1.600 imprese per un fatturato annuo che sfiora il miliardo di euro, di cui il 38% destinato all'export. Ma nel periodo 2000-2003, il distretto di Carpi risente delle difficoltà della congiuntura generale. Il settore tessile abbigliamento nazionale ha registrato una flessione del fatturato pari, nel biennio 2000-2002, al -2,5% a prezzi correnti. Anche Carpi mostra un peggioramento, con una diminuzione del fatturato 2003 del -3,8% rispetto al 2002.
Eppure Carpi rileva alcune specificità, come spiega l'assessore alle Politiche per lo sviluppo economico del Comune Alberto Allegretti, "ad esempio una partecipazione elevata al lavoro in particolare di quello femminile, sviluppo anche fuori dal distretto delle relazioni produttive tra imprese, l'emergenza di potenziali aggregazioni territoriali più ampie, cambiamento nei rapporti preferenziali tra istituzioni, imprese, sistema creditizio, mondo associativo e comunità locale". Carpi ha una ricetta anti-crisi che nasce dalla scommessa su relazioni più ampie: "Abbiamo lavorato molto - spiega ancora l'assessore Allegretti - per il tavolo unificato del tessile, con l'obiettivo politico di rimettere Carpi al centro dell'attenzione a livello regionale e non solo. In questo ambito rientrano le strategie di rete con Prato e Biella all'interno dell'Acte (Associazione europea città del tessile), di cui come Carpi siamo coordinatori a livello italiano. E poi tentiamo anche di portare avanti operazioni innovative, come quelle legate al tessile biologico, una nicchia in espansione". E' così che la strada del distretto incrocia quella della società civile che lavora per la promozione della cultura del biologico e del commercio equo e solidale.

Impatto sociale e ambientale dei nostri vestiti
L'industria tessile è una delle più lunghe e più complicate catene industriali nel settore manifatturiero. E' un comparto frammentato ed eterogeneo dominato da una maggioranza di Piccole e medie Imprese (PMI), con una domanda fortemente guidata da tre principali consumi finali: indumenti, tessile per la casa, usi industriali. Questa parte dell'industria rappresenta (EURATEX, 2002):
3,4% del fatturato del settore manifatturiero europeo
3,8% del valore aggiunto
6,9% dell'occupazione industriale.
In realtà, nel 2000 l'industria tessile e di abbigliamento in Europa ha raggiunto un fatturato di 198 miliardi di Euro, coinvolgendo 114.000 imprese che occupavano circa 2,2 milioni di addetti. Ma le ingenti dimensioni economiche del settore portano con se' anche forti impatti sociali e ambientali. I principali problemi ambientali che derivano dalle attività dell'industria tessile riguardano: emissioni in acqua e aria, uso di acqua e di energia. Tra questi, l'acqua rappresenta la principale preoccupazione: l'industria tessile usa l'acqua come principale mezzo per rimuovere impurità, applicare i colori e gli agenti di finissaggio, e per generare vapore. Il primo problema è, quindi, rappresentato dalla quantità di acque scaricate e delle sostanze chimiche in esse presenti. Sul cotone, ad esempio, che occupa circa il 2,5% della superficie agricola mondiale, viene utilizzato il 25% del totale degli insetticidi e 11% di tutti i pesticidi. Secondo una stima dell'Organizzazione Mondiale della sanità (OMS), tra 500.000 e 2 milioni di persone sono vittime ogni anno nel mondo d'incidenti d'avvelenamento da agenti agro-chimici, di cui 40.000 mortali. Circa un terzo di questi incidenti si verificano nel settore della coltivazione del cotone.

La trappola della Wto
Il 31 luglio scorso l'Organizzazione mondiale del commercio è uscita da un Consiglio generale molto concitato con un testo-base del nuovo accordo globale sugli scambi internazionali, che dovrebbe consentirle di concludere con successo il round di negoziati rilanciato nel 2001 a Doha dopo il collasso di Seattle.
Alcuni Paesi africani, prima della Ministeriale, avevano ripresentato al Consiglio generale la richiesta di trattare il caso cotone in un tavolo dedicato, visto che il Pil di alcune economie fragili, come ad esempio il Burkina Faso, dipende per quote anche superiori al 60% da questa produzione. Coprendo più del 50% del fabbisogno di fibre tessili nel mondo, il cotone è la maggior coltura agricola non alimentare. Esso è una parte fondamentale della vita degli oltre 200 milioni di persone impegnate nella sua coltivazione in più di 80 Paesi e degli oltre 90 milioni di lavoratori impiegati nella trasformazione in filati e tessuti, nella produzione di olio per il consumo umano o nella manipolazione di integratori proteici per i mangimi del bestiame zootecnico, ottenuti dal suo seme. I due maggiori produttori mondiali sono USA e Cina, entrambi con una quota superiore al 20%, seguono India (12%), Pakistan (8%) e Uzbekistan (5%).
I Paesi Africani non sono riusciti ad ottenere neppure a Ginevra quello che avevano chiesto a Cancun. L'accordo finale conferma infatti che "gli aspetti commerciali di questo argomento saranno trattati nell'ambito dei negoziati agricoli". Unico "contentino" la creazione di una nuova sottocommissione ad hoc. Rispetto al testo originale è stato addirittura aggiunto un paragrafo che dà mandato al Direttore generale di consultare le altre istituzioni di Bretton Woods (BM e FMI), la FAO e International Trade Center (una creazione UNCTAD - WTO) per ricavare piani e risorse a favore dello sviluppo dei paesi interessati dal problema del cotone. Il tutto senza vincoli concreti e senza scadenze, però.
Come mai non si è riusciti ad inserire nell'allegato sull'agricoltura nessuna promessa specifica di riduzione del dumping sul cotone?
Eppure la fluttuazione del prezzo internazionale del cotone, in particolare la caduta tendenziale degli ultimi anni, dovuta ad un'assenza di politiche di gestione della domanda e dell'offerta, ma anche dal peso sul mercato di colossi come la Cina sia per ciò che riguarda la produzione che il consumo, e alla possibilità dei grandi gruppi privati e pubblici di influenzare il prezzo alla produzione, assieme alle politiche di dumping portate avanti soprattutto dagli USA (nel 2001-2002, i 25.000 coltivatori di cotone nordamericani hanno ricevuto circa $ 568 ad ettaro di sussidi, pari ad un totale di circa $ 3,9 miliardi - il doppio rispetto al livello del 1992. Oxfam 2002) ha peggiorato notevolmente la situazione economica di molti paesi e soprattutto delle comunità agricole. Prendiamo, ad esempio, un coltivatore di cotone del Mali. Oggi guadagna l'equivalente di 12 centesimi di dollaro per libbra, rispetto ad un prezzo mondiale che è oscillato negli ultimi anni fra 30 e 70 cents per libbra. Il prezzo delle sementi, invece, è cresciuto in media del 4,2% per le sementi, e gli insetticidi del 21%, causando la diminuzione del reddito dei produttori, l'indebolimento delle loro capacità di risparmio e il dramma dell'indebitamento.

Un Tavolo nazionale per il cotone bio&equo
Il cotone rappresenta, dunque, quasi un paradigma dell'attuale modello di sviluppo e delle sue distorsioni, e offre un campo di riflessione e confronto alle organizzazioni della società civile, come anche alle istituzioni, alle imprese e ai sindacati. Per questo, dopo il lancio della campagna di sensibilizzazione "La via del cotone", promossa dall'osservatorio nazionale sul commercio internazionale Tradewatch (tradewatch.splinder.it) promosso da Rete Lilliput, Campagna Riforma della Banca Mondiale, la centrale di commercio equo Roba dell'Altro Mondo e l'ong Mani Tese sulle problematiche legate al cotone, alcune organizzazioni a tutela del biologico e dell'ambiente come Icea, Aiab e Legambiente, realtà del commercio equo come la stessa Roba, Ctm Altromercato, Transfair, Commercio Alternativo, ong di sviluppo come il Gvc, ma anche la Fondazione Banca Etica e Ethimos, oltre a aziende del tessile biologico, enti locali, Federmoda Cna e le associazioni dei consumatori hanno scelto di dare vita al primo Tavolo Nazionale per il Cotone Biologico ed Equo e Solidale.
Il tavolo si propone di
- Sostenere la diffusione di un Cotone Biologico ed Equo-Solidale.
- Accrescere il livello di informazione e la conoscenza dei consumatori delle problematiche ambientali, sociali e salutistiche connesse con i prodotti in cotone.
- Promuovere una stretta collaborazione con gli enti di ricerca operanti sia sul fronte delle tecniche e dei metodi di produzione agricola che nell'ambito dei processi e delle tecnologie manifatturiere.
- Coinvolgere operatori economici ad ogni livello della catena del valore al fine di promuovere la costituzione di una filiera produttiva del Tessile Biologico ed Equo-Solidale.
- Sensibilizzare i soggetti istituzionali al fine di promuovere l'introduzione di prodotti Tessili Biologici ed Equo-Solidali nell'ambito delle politiche di Green Public Procurement.

Fonte: Trade Watch, Roba dell'altro mondo

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