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Iraq: Smile Train Italia, regalare un sorriso ai bambini
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Regalare un sorriso ai bambini iracheni e non solo. In un Paese scosso dalla guerra, che lentamente cerca di tornare alla normalità, l’equipe di Smile Train Italia composta da 18 tra medici, infermieri e volontari, guidati dal chirurgo maxilo facciale Fabio Abenavoli, ha portato il proprio aiuto a Camp Mittica, Nassiriya. Dieci giorni di visite e operazioni che adesso proseguiranno grazie ad alcuni selezionati medici locali. Trecento pazienti, bambini e non, visitati e curati. Centotrenta operati sul posto e la promessa che a settembre quattro dei casi più gravi saranno trasferiti in Italia. Come quello particolare e drammatico di una bambina che nell’esplosione di una bomba ha perso un occhio e non riesce a chiudere le palpebre.
“La chiusura della palpebra – dice Abenavoli - protegge l’occhio dalla polvere e tutto il resto. Questa bambina un occhio l’ha già perso perché non ha più le palpebre e se non facciamo in fretta rischia di perdere anche l’altro. Oltre al fatto che è completamente sfigurata”.
Ma nonostante tutto, a sette anni dall’invasione anglo americana, l’Iraq cerca di rialzare la testa e ripartire. “C’è sicuramente una fase evolutiva importante”, spiega il dottor Fabio Abenavoli e “allo stato attuale si nota una ricerca da parte della popolazione irachena di creare una situazione positiva che possa sviluppare una evoluzione. Mentre nelle prime missioni di tre anni fa notavamo un individualismo molto spiccato, ognuno pensava per se, in questa occasione tutti quelli con cui abbiamo parlato parlavano di questa possibile rinascita dell’Iraq. È un elemento molto positivo”.
Ma l’equipe di medici italiani, specializzati nella chirurgia delle malformazioni del volto come il labbro leporino e la palatoschisi, da queste parti sono una rarità. E questo spiega il motivo per il quale l’affluenza è stata molto alta. In un Paese dove l’incidenza di contrarre queste malformazioni è 1 nascita su 500, cotro 1 nascita ogni 1300 in Europa, esistono soltanto pochi medici in grado di curare il problema. Uno a Baghdad e altri due in Kurdistan, in un Paese dove muoversi è ancora difficile e in certe zone impossibile. Organizzare dei viaggi è rischioso, ma nonostante tutto i pazienti, accompagnati dai genitori i più piccoli o amici i più grandi, sono arrivati perfino dalla capitale. E non è poco se si considera che le due città distano 360 chilometri, circa 5 ore di macchina tra deserto, pericoli e check point militari. Da un’altra provincia dell’Iraq, invece, è arrivato addirittura un pullman con 70 persone tra pazienti e genitori.
“È importante sottolineare – spiega Abenavoli - che i bambini con queste malformazioni del palato se non vengono curati sono destinati a morte certa. Non potendo nutrirsi e non avendo le risorse necessarie per essere assistiti dal punto di vista medico sono destinati a deperire e morire entro i primi anni di vita. L’incidenza è molto altra perché, oltre all’aspetto connesso alla povertà, quindi una gravidanza che si sviluppa in un ambiente molto povero, pieno di malattie, difficoltà e carenze alimentari quali l’acido forico, c’è il problema della consanguineità. Cioè si sposano all’interno di una tribù. Per cui quando l’aspetto che prevale è genetico c’è una maggiore incidenza di questa patologia”.
Gli italiani hanno lavorato a bordo di una unità chirurgica mobile, donata dal Ministero degli Esteri italiano 3 anni fa per permette proprio questo tipo di missioni. Una sala operatoria che si sposta su un camion e che per il resto dell’anno è utilizzata dai medici iracheni che collaborano con la cooperazione italiana. “I medici iracheni – spiega ancora il chirurgo - sono molto validi ma spesso non hanno una preparazione adeguata. Questo perché molti di loro durante il conflitto sono stati uccisi”, o nella migliore delle ipotesi fuggiti all’estero. Per questo, aggiunge, “credo che l’obiettivo principale sia la formazione, l’insistere sulla formazione dei medici locali a ricreare quelle che sono le condizioni di civiltà minime. La finalità delle organizzazioni come la nostra è quella di focalizzare su determinati elementi la propria attenzione. Quello che abbiamo percepito e di cui necessitano gli iracheni è una estrema specificità. Perchè questo è un popolo che ha alle spalle una tradizione e una cultura importante. Non possiamo certamente dire che sono nati senza una base. Credo che sia sbagliato andare e dire facciamo tutto. Questi sono popoli che hanno una loro storia e vogliono riprendere e continuare a crescere”.
Abenavoli conferma anche che il ruolo dell’Italia è fondamentale. “Noi – dice – abbiamo svolto la nostra azione all’interno della base americana dove è ancora presente Anna Prouse con il suo staff di medici e persone che lavorano alla ricostruzione di progetti mirati nell’area di Nassiriya. In qualche modo il ‘sistema Italia’ partecipa a questa vera ricostuzione, fornendo alla base e quindi alla popolazione, i progetti, i mezzi e le idee per crescere”.
Andrea Bernardi (Inviato di Unimondo)
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Andrea Bernardi per il Corriere online: