Il Punto - Tra isole, frontiere e assedi il Mondo resta in equilibrio instabile

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Immagine: Unsplash.com

Il mare continua a essere lo specchio delle paure nel risiko mondiale. Soprattutto in Asia. Laggiù Filippine e Canada si preparano a firmare un Visiting Forces Agreement. È un’intesa che permetterà esercitazioni congiunte e la presenza militare reciproca, cioè contingenti di soldati nei rispettivi Paesi. È un passo che sembra tecnico, ma che in realtà sposta equilibri, perché ci racconta come Manila guardi a Ottawa come a un alleato “nuovo”, diverso dai tradizionali partner regionali. Il messaggio è chiaro: l’influenza cinese nel Pacifico preoccupa e le Nazioni del Sud-est asiatico cercano vie di fuga dalla dipendenza strategica da Washington o da Pechino.

È il Pianeta che cambia, rapidamente. È il segno di un mosaico che si allarga e ogni tessera vale come garanzia di sopravvivenza. La cooperazione con un Paese come il Canada - attore esterno all’impero statunitense, ma membro della NATO - apre una porta verso una rete più ampia di partenariati militari. La regione si muove, lentamente, con decisione, verso un sistema di sicurezza multipolare, frammentato, in cui nessuno si fida davvero di nessuno. Soprattutto, nessuno si fida delle grandi potenze.

Più a ovest, al confine tra Thailandia e Cambogia, il rumore delle armi sembra assopirsi ed è buona cosa. Dopo anni di tensioni e dopo gli scontri delle ultime settimane, i due Paesi hanno iniziato il ritiro delle armi pesanti dalla frontiera contesa, nel quadro di un cessate-il-fuoco firmato a Kuala Lumpur. Sono cominciate anche le operazioni di sminamento: squadre miste lavorano lungo il confine, bonificando terreni che per decenni sono stati luoghi di morte.

Ma la pace, qui, resta di fatto fragile. Bangkok tiene ancora in custodia 18 soldati cambogiani, prigionieri di un conflitto mai del tutto spento. I valichi di frontiera restano chiusi, segno che la fiducia non si decreta con un accordo. Si conquista, passo dopo passo, anno dopo anno, con atti concreti che riconoscono colpe, errori e buone intenzioni. È una lezione che in Asia trova conferma: le dispute territoriali possono mutare, diventare negoziati invece che battaglie, ma basta poco per tornare indietro.

Continuiamo il viaggio sulla scacchiera di questo risiko. Siamo In Africa. Qui il Sudan resta imprigionato nella guerra interna, ma non è solo. Il Mali, infatti, scivola di nuovo verso il baratro. Il blocco del carburante imposto dai jihadisti del Jama'at Nusrat al-Islam wal Muslimin dura da oltre due mesi e paralizza il Paese. Scuole chiuse, economia ferma, città isolate. È una guerra silenziosa, condotta senza spari, ma con l’efficacia delle nuove strategie di destabilizzazione: tagliare i rifornimenti, piegare la popolazione, costringere il governo militare a implodere.

Gli analisti temono che il regime di Bamako non regga a lungo. La crisi del Mali non è solo locale: mette in discussione l’intero equilibrio del Sahel, già scosso dal disimpegno occidentale e dall’espansione dei gruppi jihadisti. Qui il conflitto non ha confini chiari, né fronti riconoscibili. È una rete di potere e resistenza, fatta di traffici, fedeltà, paura e ricerca di una nuova “indentità africana” che noi europei ancora facciamo fatica a comprendere.

Torniamo a Gaza, dove la tregua nominale continua a essere un miraggio. Nella parte meridionale della Striscia gli attacchi israeliani proseguono, con bombardamenti e demolizioni. Le vittime civili si sommano ogni giorno e il cessate-il-fuoco resta più sulla carta che sul terreno. Circa 200 combattenti di Hamas sarebbero intrappolati nell’area di Rafah, mentre Tel Aviv nega loro qualsiasi corridoio sicuro. Intanto, la crisi umanitaria peggiora. Secondo le organizzazioni umanitarie internazionali, solo la metà dei rifornimenti alimentari necessari entra nella Striscia. Manca tutto: tende, medicine, protezioni contro il freddo. Circa un milione e mezzo di persone si preparano all’inverno senza riparo. A livello diplomatico, si discute un “meccanismo di stabilizzazione”. Gli Stati Uniti propongono l’invio di una forza internazionale per due anni, ma l’idea dovrà passare per il Consiglio di Sicurezza ONU. È l’ennesima ipotesi di pace senza pace, in un territorio che non riesce più a respirare, a vivere.

Spostandoci a nord, in Ucraina, la guerra si combatte nelle strade di Pokrovsk, nel Donetsk. I russi cercano di entrare e consolidare le proprie posizioni tra le case, nelle fabbriche distrutte, nei quartieri che erano periferie e ora sono trincee. Kiev assicura che le sue truppe non sono accerchiate, ma le linee logistiche vacillano. Manca la fanteria, mancano i rifornimenti e l’inverno avanza. Mosca, poi, usa nuove armi: bombe a planata con motore a turbina, capaci di colpire a distanza. Sono tecnologie moderne applicate a una guerra d’altri tempi, combattuta metro per metro, casa per casa.

In questo enorme risiko planetario, ogni fronte, ogni Paese, racconta la medesima storia: quella di un Mondo in cui la pace è un intervallo e la guerra una condizione. Le alleanze si moltiplicano, mutano, diventano incerte. Le linee di combattimento si spostano, i confini si sminano e si ridisegnano. Ma resta un’unica curiosità: sapere quanto ancora potrà reggere questo equilibrio instabile che chiamiamo nuovo ordine internazionale.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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