Thailandia: pugno duro del Governo dopo la resa delle camicie rosse

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“Abbiamo perso. Non ho più niente, non so dove andare, non so cosa fare”. Petchra, una signora di 82 anni, è in lacrime, sotto il sole, seduta su un tappeto di stuoia nel recinto del tempio di Wat Pathumwanaram. All’interno di quello che, fino a ieri mattina, era il quartier generale delle camicie rosse. Si dispera, non pensava che finisse così. “Vengo dal Nord, credevo che questa volta potevamo cambiare le cose. Sono povera, non ho una casa, non ho soldi. Qui mi sentivo a casa” - è l’ultima frase che pronuncia, prima che le ragazze della Croce Rossa la carichino su una barella per portarla al riparo.

Sotto un piccolo albero una ragazza con il ventaglio fa aria alla madre. Si sono rifugiati li, l’avanzata dell’esercito è stata decisa e violenta. L’unico posto sicuro era il Tempio. Ci sono uomini, donne e bambini. Ma più che un tempio, Wat Pathumwanaram è diventato un campo profughi. Sulla faccia si legge la paura di chi non sa cosa succederà appena la Polizia li porterà via da li. Forse saranno arrestati, forse i militari chiuderanno un occhio per questa gente delle campagne rurali thailandesi, dove la povertà è altissima e la disperazione altrettanto.

I giovani del “ronin”, il gruppo armato delle camice rosse che in questi giorni si spostavano velocemente con la sciabola sulla schiena e le armi in mano per ingaggiare duelli con l’esercito non si vedono. Nel tempio la Polizia mostra ai giornalisti biglie, fionde. C’è anche una delle tipiche giacche nere dei paramilitari. Un grosso coltello. Ma di loro nessuna traccia.

Dopo la giornata di “guerra civile” di ieri, oggi (ieri per chi legge) Rachaprasong ha un aspetto surreale. Le ruspe hanno lavorato tutta la notte. Tre chilometri quadrati di canne di bambù e copertoni sono stati smantellati e lentamente vengono caricati sopra i camion. L’esercito ha bloccato tutte le vie di entrata e di uscita. L’incrocio tra Silom road e Sala Daeng, dove ieri mattina è iniziato l’assalto finale, è diventato un parcheggio per i mezzi blindati, che poco più avanti hanno anche tirato cordoni di filo spinato.

È in questo punto maledetto che ieri la pallottola di un cecchino, forse governativo, ha ucciso il fotoreporter italiano Fabio Polenghi, mentre con le sua macchine fotografiche cercava di immortalare la precipitosa fuga dei rossi.

All’interno molte delle tende sono state smontate e appoggiate a terra, con sotto tutto quello che c’era. Il cibo lasciato li, per lo più frutta e verdura, marciscisce lentamente e assieme ai sacchi di spazzatura accatastati rende l’aria irrespirabile. Anche qui i soldati controllano che non ci siano armi. Uno di loro trova un paio di occhiali da sole, che prontamente si mette in tasca. Le strade sono deserte. Ogni tanto s’intravede qualcuno che trafuga tra i vestiti e mette dentro a sacchi di nylon scarpe e vestiti.

I danni sono enormi. C’è il Central World, il più grande centro commerciale della Thailandia in parte crollato, quasi al collasso. I pompieri, dopo quasi 24 ore, non erano ancora riusciti a domare le fiamme. Il cinema Siam Square annerito. Il palazzo della borsa bruciato al primo piano. Altri 23 edifici dati alle fiamme. Dal Governo fanno sapere che i danni stimati si aggirano a 100milioni di Baht, circa 2milioni e mezzo di euro. Senza contare le vite umane.

L’esecutivo, forte della vittoria fa il pugno duro. Prima proclama lo stato di emergenza, poi prende il controllo dell’informazione. La metropolitana sopraelevata Skytrain, che taglia con due linee il centro di Bangkok chiusa oramai da una settimana. Nel tardo pomeriggio, un’altra banca prende fuoco nel quartiere di Din Daeng. Doloso o meno non si sa. Il coprifuoco, imposto ieri dallo dalle 20 alle 6 è iniziato e per ora durerà fino a sabato. Poi si vedrà.

Andrea Bernardi (Inviato di Unimondo a Bangkok)

I PRECEDENTI ARTICOLI DI ANDREA BERNARDI DA BANGKOK:

Andrea Bernardi per il Corriere online:

 

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