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Rifiuti e migrazione clandestina lungo le spiagge del Senegal
Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Agenda Globale 2030)
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Foto: L. Michelini ®
Fa caldo, la gola è arsa e la spiaggia di Thiaroye sur Mer sembra non finire mai. Camminando lungo il litorale di questa sonnolenta località della periferia di Dakar, si potrebbe tranquillamente arrivare fino al grande porto della capitale senegalese.
Nel villaggio di etnia lebous di Thiaroye non si capisce dove inizi la discarica e dove la spiaggia. Dalle colorate piroghe arenate sulla battigia sbucano a intervalli regolari donne con pesanti secchi carichi di rifiuti destinati ad essere scaricati fra le onde dell’oceano.
Per Thiaroye sur Mer la spiaggia rappresenta di fatto una seconda città: qua è possibile vedere ragazzi di tutte le età giocare a pallone o aiutare i loro papà nella riparazione delle reti da pesca.
Sherif nel 2006 aveva tentato la via per Tenerife e oggi vive nella banlieue di Dakar dove fa il pescatore: “Ho preso una piroga, come molti, e mi è andata bene. Ma nel corso del viaggio ho perso tanti amici, morti di fame e di sete. Una volta arrivato in Spagna ho fatto lavoretti di vario tipo, ma tutti molto precari. Erano attività stagionali, legate all’agricoltura.Dopo otto anni di attesa, non mi è stato riconosciuto il permesso di soggiorno quindi, piuttosto che rimanere in Spagna come immigrato irregolare, ho deciso di fare ritorno a casa”, racconta, mentre con le mani gonfie dal sale tesse piccoli nodi sulla rete che utilizzerà la sera stessa per andare a pesca.
Purtroppo, non sono pochi i pescatori come Sherif che sono partiti clandestinamente per l’Europa o che sono in procinto di farlo. C’è da aspettarsi, anzi, che l’impatto del codiv-19 sulla fragile economia senegalese andrà ad alimentare ancora di più i tentativi di partenza verso l’Europa.
Continuando la camminata lungo la spiaggia, arriviamo ad uno degli essiccatoi di pesce più grandi del Paese. Tra un immenso cumulo di rifiuti e uno scarico di acque reflue a cielo aperto, grandi tavoli di legno colmi di pesce sono sistemati sotto il sole di mezzogiorno alla mercé di smisurati nugoli di mosche.
Thiaroye sur Mer rappresenta una delle località più importanti di Dakar per la preparazione del pesce affumicato, molto utilizzato in tutta l’Africa Occidentale in quanto alimento facile da conservare e trasportare. La filiera è locale al 100%: la mattina i pescatori partono con le loro piroghe, raccolgono le reti lasciate in mare il giorno prima, smistano il pesce e lo conferiscono all’essiccatoio.
Ma se ad occuparsi della pesca è soprattutto la manodopera maschile, alla pulizia e alla trasformazione del pescato ci pensano le donne.
Chiediamo a un gruppo di signore sedute a terra e occupate nella pulizia di interminabili quantità di sardine secche di raccontarci in cosa consiste il loro lavoro, ma non sembrano essere molto propense al dialogo: “Per rilasciare interviste, serve avere il permesso”, rispondono quasi in coro. Ed è facile capire il perché di tanta reticenza: provando ad avventurarsi all’interno dell’essiccatoio, ci si rende immediatamente conto che le norme igieniche sono pari a zero e che non tutte le attività che si svolgono in questo luogo sono probabilmente legali. Ammucchiati in un angolo, cinque squali giacciono a terra informi, quasi come fossero rifiuti abbandonati. E probabilmente lo sono, considerando che in Senegal la pesca agli squali è praticata soprattutto per il prelievo delle pinne, destinate ai mercati asiatici.
Veniamo a sapere che con gli scarti invenduti del pescato si produce il bouillons, il dado ampiamente usato nella ristorazione senegalese. Viscere e carcasse mescolate assieme per dare sapore ai piatti tradizionali a base di riso e rinomati per il loro gusto forte e speziato.
Nell’aria c’è un odore costante di bruciato che proviene dai fuochi accesi per affumicare il pesce e per far sparire i resti animali prodotti ogni giorno dalle attività lavorative dell’essiccatoio.
Ce ne andiamo via in fretta, con l’impressione che questo tratto di Senegal sia violentato e sfruttato, ancora una volta, come troppi luoghi in Africa. L’eterna storia che si ripete a ciclo continuo e che lascia dietro di sé una lunga scia di rifiuti e aridità.
Lucia Michelini

Sono Lucia Michelini, ecologa, residente fra l'Italia e il Senegal. Mi occupo soprattutto di cambiamenti climatici, agricoltura rigenerativa e diritti umani. Sono convinta che la via per un mondo più giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione della cultura. Per questo cerco di documentarmi e documentare, condividendo quanto vedo e imparo con penna e macchina fotografica. Ah sì, non mangio animali da tredici anni e questo mi ha permesso di attenuare molto il mio impatto ambientale e di risparmiare parecchie vite.