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La pace senza donne non è pace
Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Agenda Globale 2030)
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Immagine: Unsplash.com
Dall’incontro in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin, ai negoziati indiretti tra Israele e il gruppo terroristico di Hamas, culminati negli accordi firmati a Sharm el-Sheikh, il mondo assiste a numerosi incontri politico-diplomatici di alto livello, che potrebbero ridisegnare l’assetto geopolitico futuro.
A prescindere da come i tentativi negoziali in corso finiranno, non solo a breve termine, si può già trarre una prima conclusione che accomuna i diversi tavoli.
È una conclusione negativa, purtroppo.
Non ci riferiamo qui all’iniquità delle pretese avanzate dalle parti belligeranti, perché su questo la storia ci ha insegnato che le paci, con sfumature diverse, di fatto coincidono con l’imposizione degli interessi del più forte.
Stiamo parlando del fatto che, comunque vada, i vari accordi di pace saranno iniqui a prescindere, dato che escludono il 50% circa delle popolazioni civili sottoposte alle guerre: le donne.
Ripercorrendo brevemente le delegazioni in campo negli ultimi mesi, abbiamo notato che ben pochi sono i nomi delle partecipanti ai round negoziali.
Torniamo ad esempio in Alaska, dove a prendere parte al vertice Trump–Putin lo scorso agosto, sono stati il ministro degli esteri Sergei Lavrov, il consigliere di politica estera Yuri Ushakov, il ministro della difesa Andrei Belousov, il direttore del fondo d’investimento russo Kirill Dmitriev e il ministro delle finanze Anton Siluanov. La delegazione statunitense al seguito di Donald Trump era composta dal segretario di Stato Marco Rubio, il direttore della CIA John Ratcliffe, l’inviato speciale per Ucraina e Medio Oriente Steve Witkoff, il segretario al tesoro Scott Bessent e il segretario al commercio Howard Lutnick.
Comunque, le donne sono state largamente escluse dai negoziati intermittenti tra Russia e Ucraina sin dal 2014.
C’è da dire che l’Ucraina spicca rispetto ad altri attori per l’inclusione, anche se minima, delle donne nelle sue delegazioni.
Due donne erano parte della delegazione ucraina che ha partecipato agli accordi di pace di Minsk nel 2014/2015, Iryna Gerashchenko e Olga Ajvazovska.
Anche in quell’occasione la Russia inviò una delegazione completamente maschile.
Dall’invasione russa dell’Ucraina del 2022, le donne non hanno certo ricoperto un ruolo centrale ma, sempre dal lato ucraino, le donne continuano ad avere ruoli ufficiali chiave, anche nell’ambito della sicurezza nazionale.
Molte donne ucraine hanno contribuito in modo critico alla costruzione e al mantenimento del supporto internazionale alla difesa del loro Paese. Fra queste, per citare qualche nome, c’è l’ex vicepresidente per l’integrazione europea ed euro-atlantica e precedente ministra della giustizia Olha Stefanishyna, ad oggi ambasciatrice ucraina negli Stati Uniti, che è anche la leader della piattaforma per il gender mainstreaming ed il recovery inclusivo, nata al fine di assicurare che le donne siano coinvolte nella ricostruzione del Paese.
Fino alle dimissioni nel settembre 2024, Iryna Vereshchuk ha giocato un ruolo critico per i soccorsi umanitari e nello scambio dei prigionieri, in qualità di viceprima ministra e ministra per la reintegrazione dei territori temporaneamente occupati.
Altre donne partecipano in modo attivo ed essenziale alle relazioni internazionali dell’Ucraina, come Oksana Markarova, precedente ambasciatrice ucraina negli USA e ―sebbene non ricopra posizioni ufficiali― anche Olena Zelenska è impegnata in attività di advocacy ad alto livello per il proprio Paese, in particolare sul piano umanitario.
Nella settimana appena trascorsa la delegazione ucraina guidata dalla prima ministra Yuliia Svyrydenko, 39 anni, si è recata in visita negli Stati Uniti.
Spostandoci sul fronte israelo-palestinese, le notizie trapelate circa le delegazioni che hanno partecipato ai colloqui indiretti di Sharm el-Sheikh sono decisamente meno.
Secondo l’agenzia Associated Press, la delegazione israeliana dovrebbe essere stata guidata da Ron Dermer e avrebbe visto la partecipazione del consigliere politico Ophir Falk. A guidare la delegazione di Hamas dovrebbe essere stato Khalil al-Hayya.
Ma in decenni di colloqui per la pace tra israeliani e palestinesi, ben poche donne sono state coinvolte e hanno partecipato con ruoli ufficiali. Emergono in particolare i nomi di Tzipi Livni, capa negoziatrice israeliana in diversi colloqui dal 2007 al 2014, e Hanan Ashrawi, negoziatrice per l’OLP negli anni ’90.
Anche se le donne hanno giocato ruoli importanti nei governi di ambo i lati, sono sempre rimaste sottorappresentate.
Eppure, il loro apporto è stato fondamentale.
Ad esempio, Tzipi Livni ha giocato un ruolo cruciale nella risoluzione delle impasse nei negoziati tra il 2013 e il 2014, richiamando anche il proprio team negoziale a uscire dagli ostruzionismi e dalle distrazioni politiche per concentrarsi su un’agenda concreta.
È interessante notare che, nel corso dei decenni di questo conflitto, le donne sono state sostanzialmente escluse da questioni considerate “forti preoccupazioni a livello securitario”, come le questioni militari e la spartizione dei territori. Invece, hanno giocato un ruolo cruciale in ambiti tecnici come quello dell’accesso all’acqua o della protezione dei diritti umani.
Abbiamo citato soltanto queste due vicende perché sono quelle che al momento emergono per importanza.
Sono però anche casi emblematici, perché rappresentano bene lo stato attuale delle cose. Non è necessario essere esperti di trattati di pace o storici delle relazioni internazionali per accorgersi che la rappresentanza femminile è stata estromessa dalla gran parte ―se non dalla quasi totalità― dei negoziati di pace contemporanei.
Un caso eccezionale è quello degli accordi firmati in Colombia nel novembre del 2016 tra il governo colombiano e il gruppo armato rivoluzionario FARC, a seguito di una guerra civile durata cinquant’anni, che ha causato 220.000 morti e circa 7 milioni di sfollati.
Questo accordo di pace è diventato un esempio a livello internazionale per il coinvolgimento delle donne nel processo di pace.
Eppure i colloqui non erano partiti con le stesse premesse. Soltanto una donna su venti negoziatori aveva partecipato ai colloqui iniziati nel 2012 a Cuba.
In questo caso, l’intervento della società civile è stato determinante per un cambio di rotta. Nel 2013, alcuni leader della società civile organizzarono il summit nazionale delle donne e della pace per chiedere il coinvolgimento delle donne nel processo di pace. Nel 2015 il 20% del team negoziale governativo e il 45% della delegazione delle FARC ―equivalente al numero delle combattenti che componeva il gruppo armato― erano formati da donne.
Ad oggi la durabilità della pace in Colombia rimane più che mai incerta, perché il governo deve fare i conti con criticità persistenti legate alla riforma delle terre, al narcotraffico e al riconoscimento delle responsabilità davanti alla giustizia, oltre che al reinserimento in società degli ex combattenti. Le combattenti, in particolare, sono gravate ulteriormente dallo stigma sociale. Senza contare il fatto che non è stato ancora raggiunto un accordo di pace con altre milizie ―su tutte la ELN, la seconda più grande del Paese― che continuano ad essere attive nella gestione del traffico di droga.
Ma le donne hanno contribuito al processo di risoluzione del conflitto e costruzione della pace a tutti i livelli. La loro partecipazione ha aiutato ad assicurare il successo dello sforzo di pacificazione colombiano.
Le ricerche sulla capacità negoziale delle donne sembrano affermare che al mondo converrebbe includerle, e non soltanto per un fatto di giustizia, ma per una questione di efficacia, sostenibilità e durabilità della pace.
La professoressa Margaret A. Neale della Stanford graduate school of business riferisce che le donne, quando preparate alla negoziazione e incaricate di negoziare per conto di altri, hanno la capacità di superare gli uomini nella performance negoziale di una percentuale che va dal 14 al 23%.
Ovviamente, l’assenza delle donne ai tavoli negoziali si riconduce al mancato accesso delle donne agli incarichi di alto livello, ossia a posizioni di potere. Le ricerche hanno dimostrato come le probabilità di ricorrere alla forza armata per la risoluzione dei conflitti siano inferiori per i Paesi con una maggiore uguaglianza di genere. Al contrario, i Paesi con una maggiore disuguaglianza di genere sarebbero più inclini a ricorrere alla violenza nei conflitti sia interni che internazionali.
Sottesa all’assenza delle donne ai tavoli dove si discutono gli accordi di pace, c’è anche il pregiudizio ―non supportato da dati― che le donne siano “deboli” e incapaci di reggere la tensione per arrivare ad un compromesso vantaggioso per la parte rappresentata. Tanto che gli uomini continuano ad essere gli unici protagonisti in un ambito in cui, con tutta probabilità, le donne potrebbero eccellere.
Infatti, gli accordi negoziati da donne sembrano avere una maggiore probabilità di successo a lungo termine. Le ricerche hanno evidenziato un collegamento diretto tra inclusione politica delle donne e la durata della pace: la partecipazione delle donne aumenterebbe del 20% la probabilità che un accordo di pace duri almeno due anni e del 35% che duri quindici anni.
Eppure, la partecipazione femminile ai processi di pace formali rimane bassa.
Nonostante i dati disponibili dimostrino che la partecipazione delle donne ai negoziati porti ad accordi con contenuti migliori, ad una maggiore possibilità di implementazione e ad una durata maggiore della pace, le donne continuano ad essere ampiamente escluse da quei tavoli.
Maddalena D'Aquilio
Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.






