Kashagan: Eni perde leadership del megagiacimento, non le responsabilità

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Lo scorso 13 gennaio in serata è arrivata la notizia della conclusione del negoziato tra l'Eni e il governo kazako per l'accordo di sfruttamento del mega-giacimento petrolifero di Kashagan. Alla fine l'Eni è riuscita a perdere meno del previsto. "Chi ha perso davvero questa partita sono purtroppo l'ambiente del Caspio del Nord e le popolazioni locali" - commenta la Campagna CRBM. "Nessuna delle parti al tavolo dei negoziati si è espressa sugli enormi rischi ambientali e sociali connessi all'esplorazione di Kashagan giacimento, ricchissimo di un petrolio di qualità molto bassa, contenente nella sua parte gassosa oltre 40 sostanze tossiche.

"E nessuno si è soffermato sull'annuncio di un ulteriore ritardo, che l'Eni è riuscita a ottenere in dirittura d'arrivo, dall'inizio 2010 annunciato a luglio alla fine del 2011. Ritardo che non possiamo fare a meno di collegare alle difficoltà tecniche con cui l'Eni si sta scornando dal 2002, da quando cioè è divenuta operatore unico a Kashagan" - nota CBRM. La disputa con il governo kazako è iniziata proprio a causa dei gravi ritardi nell'inizio delle estrazioni, previste per il 2005, e poi slittate nel corso degli anni fino al recente annuncio del 2011, causando l'esplosione dei costi complessivi, passati da 27 a 136 miliardi di dollari. "Crediamo che in questo ultimo annuncio si nasconda un'ammissione di colpa della compagnia del cane a sei zampe: i problemi tecnici non sono ancora risolti, e i rischi ambientali e per la salute pubblica sono purtroppo estremamente alti e assolutamente esclusi dalle valutazioni dei costi complessivi del progetto" - commenta CBRM.

Di fronte a questa situazione, la Campagna CBRM chiede al governo italiano di "assumersi le proprie responsabilità" e fare leva sul suo ruolo di azionista di maggioranza (30% delle azioni Eni sono controllate dal ministero dell'Economia) per chiedere all'azienda che nel corso delle sue operazioni all'estero rispetti gli accordi internazionali firmati dal governo italiano, a partire dagli standard ambientali e sociali riconosciuti a livello internazionale, ma anche dalla convenzione di Aarhus per l'accesso all'informazione la partecipazione ai processi decisionali, secondo cui tutte le valutazioni ambientali, sociali, sulla salute e sui rischi collegati all'esplorazione dovrebbero essere rese pubbliche e disponibili per le popolazioni locali. "Il governo italiano potrebbe inoltre usare una parte degli oltre tre miliardi di dividendi incassati quest'anno dalle sue partecipazioni all'Eni per finanziare uno studio scientifico indipendente sugli impatti ambientali e sociali delle costruzioni offshore e onshore finora realizzati, vincolando la ripresa delle operazioni in mare aperto alla diffussione dei risultati dello studio" - conclude CBRM.

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