Egitto: quasi asilo per i restanti sudanesi caricati

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I 183 sudanesi ancora trattenuti nelle carceri egiziane dopo gli scontri dello scorso dicembre non saranno deportati malgrado non abbiano i requisiti per essere dichiarati rifugiati; lo ha detto un funzionario del ministero degli Esteri egiziano citato da 'IrinNews', l'agenzia d'informazione dell'Ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari dell'Onu. "Ora che i rappresentanti dell'Alto Commissario della Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) hanno completato le interviste, è stato deciso che nessuno dei detenuti sudanesi ancora trattenuti in arresto sarà deportato" ha detto Nasser al Hamzawi del dipartimento per gli Affari africani del dicastero, aggiungendo che il governo starebbe provvedendo a riconoscere una protezione giuridica ad hoc per il gruppo. Il 29 dicembre scorso la polizia ha sgomberato con la forza circa 3000 sudanesi che da settimane occupavano un giardino pubblico davanti alla sede dell'Unhcr chiedendo documenti per l'espatrio o il riconoscimento del diritto d'asilo. All'Unhcr era stato dato l'incarico di accertate l'identità e l'eleggibilità allo status di rifugiati di centinaia di persone arrestate. La grande maggioranza è stata rilasciata nelle ultime tre settimane.

Dall'associazione per i Popoli Minacciati (APM) arriva l'accusa verso governo egiziano di nascondere ancora la vera entità del massacro dei profughi sudanesi. Secondo alcuni testimoni oculari e secondo parenti delle vittime, i profughi uccisi dalla polizia potrebbero essere più di 200, tra cui anche bambini. Le autorità egiziane sostengono invece che lo sgombero del parco abbia provocato "solo" 27 morti. Secondo i rappresentanti dei profughi, i testimoni oculari hanno confermato la morte di 76 richiedenti asilo. Altre 189 persone risultano ancora disperse. I tentativi intrapresi per chiarire la sorte dei feriti falliscono per la mancanza di sostegno da parte delle autorità: ai Sudanesi che cercano i bambini feriti e portati via da personale sanitario dopo il massacro viene continuamente impedito l'accesso agli ospedali del Cairo, così come viene negata la restituzione dei morti ai parenti. Il divieto fatto ai parenti di seppellire i propri morti secondo la propria religione costituisce una violazione degli standard minimi umanitari da parte delle autorità egiziane. In collaborazione con l'Ambasciata sudanese al Cairo, diverse salme sono state rimpatriate in Sudan in celle frigorifere senza che i parenti ne fossero informati.

Il rimpatrio segreto delle salme fa pensare che si voglia impedire qualsiasi seria indagine sulle reali cause di morte. Di fatto è alquanto improbabile che le vittime del massacro siano morte a causa del panico di massa scoppiato in seguito all'uso di idranti, come sostengono le autorità egiziane. Solo una seria indagine indipendente potrebbe fugare ogni dubbio. Questa richiesta era stata levata anche a metà gennaio a Roma da un centinaio di rifugiati e richiedenti asilo provenienti da varie zone del Sudan.

Con una manifestazione i rifugiati hanno chiesto alla comunità internazionale di non cancellare il diritto di asilo "appaltandolo" a paesi che non garantiscono adeguati standard riguardo al rispetto dei diritti umani (Egitto e Libia) e attivare accordi che prevedano anche il trasferimento di richiedenti asilo da questi Paesi verso l'Europa con "corridoi umanitari" adottati ad esempio durante la guerra in Kossovo. A queste si aggiunge la richiesta di 'offrire un'accoglienza dignitosa ai richiedenti asilo presenti in Italia, senza abbandonarli a se stessi o buttandoli per strada come avvenuto a Milano ai sudanesi che avevano occupato uno stabile a via Lecco'. [AT]

Altre fonti: Associazione per i Popoli Minacciati

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