Diritti umani: gli Usa condannino le violazioni in Cina, dice HRW

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L'organizzazione internazionale Human Right Watch (HRW) chiede che gli Stati Uniti promuovano durante la Conferenza della Commissione sui Diritti Umani (UNCHR) una risoluzione di condanna delle 'sistematiche violazioni' dei diritti in Cina. La Commissione, composta da 53 stati membri, nei giorni scorsi ha aperto a Ginevra la sua 60ma sessione che si protrarrà per sei settimane (15 marzo - 24 aprile).

Nelle scorse settimane vari funzionari del governo americano avevano chiaramente lasciato intendere che Washington fosse intenzionata a promuovere una dichiarazione di condanna delle violazioni dei diritti umani in Cina. "Ma negli ultimi giorni, funzionari del governo cinese hanno preso contatti la loro controparte americana - incluso il Segretario di Stato Colin Powell e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice - per scoraggiare l'amministrazione Bush dal promuovere una tale dichiarazione" - afferma Brad Adams, direttore esecutivo della divisione per l'Asia di HRW.

"L'implicita minaccia di Beijing di un peggioramento delle relazioni bilaterali non deve dissuadere gli Usa dal condannare le violazioni in materia di diritti umani ovunque queste si verifichino" - ha continuato Adams. "Se il Presidente Bush necessita di ulteriori prove di tali violazioni in Cina è sufficiente che dia un'occhiata alla litania riportata nel Rapporto sui diritti umani del Dipartimento di Stato Usa". La Cina sta inoltre facendo pressioni affinchè la Commissione Onu ponga fine alla pratica di elencare le nazioni che commettono abusi in materia di diritti umani. Il rappresentante cinese a Ginevra, Sha Zukang, ha dichiarato lunedi scorso che la Commissione dovrebbe dedicarsi al dialogo e alla cooperazione invece che "menzionare e svergognare" varie nazioni.

Come spesso nel passato, per scongiurare una prevedibile condanna per violazioni in materia di diritti umani, nelle scorse settimane la Cina ha ridotto la pena e liberato alcuni 'prigionieri politici', tra cui la monaca tibetana Phuntsog Nyidron e Wang Youcai, che aveva organizzato un partito d'opposizione, il primo dal 1949.

E domenica scorsa il Parlamento cinese ha modificato la Costituzione introducendo il paragrafo "lo stato rispetta e protegge i diritti umani" e il diritto alla proprietà privata ("la legittima proprietà privata dei cittadini è inviolabile"). Un testo quest'ultimo che segna il primo riconoscimento della proprietà privata in una Costituzione comunista e manifesta l'intenzione dell'attuale governo di consolidare l'economia capitalista.

Ma il rispetto e la protezione dei diritti umani "sono solo belle parole se non sono seguite da azioni concrete" - nota un comunicato di Amnesty International. "La Costituzione cinese contiene già una elenco di libertà, tra cui quella di stampa, di parola, di manifestazione e di credo religioso, ma in pratica esse sono seriamente limitate nel Paese dove centinaia di migliaia di persone sono tuttora incarcerate in chiara violazione dei loro diritti" - sottolinea Amnesty. Amnesty ha accolto positivamente la riforma costituzionale cinese, ma ribadisce che essa "deve essere implementata da riforme istituzionali atte a garantire i diritti umani nel Paese". [GB]

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