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Srebrenica è un buco nero, che ci inghiotte ogni giorno
Onu
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Foto: Alice Pistolesi
Srebrenica è un buco nero, che ci inghiotte ogni giorno.
È l’orrore che prende il sopravvento. È l’inizio della fine, l’avvio di quel lento, inesorabile ritorno all’antico, al tempo in cui il più forte, il più crudele, poteva uccidere impunemente, negando la propria colpa, facendola passare per legittima.
La morte del diritto umanitario è iniziata in quei dannati cinque giorni di luglio del 1995, a Srebrenica. Il ritiro delle impotenti truppe dell’Onu, l’azione metodica e assassina delle truppe irregolari serbe, il tentativo di mettere a tacere il tutto, occultando le prove, negando sempre, sono la traccia di quanto sta accadendo – molto, molto più in grande – nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, in Ucraina, ormai in ogni teatro di guerra.
Srebrenica ha segnato un confine. Poi, negli anni dopo, nulla è stato uguale. Certo, i principali responsabili di quell’eccidio – Ratko Mladic e Rodovan Karadzic – sono stati condannati dopo lunghi, penosi processi. Ma molti altri massacratori sono ancora liberi. Nelle strade di Srebrenica, le madri, le mogli e le figlie di quei più di 8mila uomini uccisi vedono ancora passeggiare, liberi e impuniti, gli assassini dei loro cari.
Non c’è stata giustizia per Srebrenica. Quell’assenza di giustizia e la non conoscenza diffusa dei fatti, quel mancato “cordoglio collettivo” davanti all’orrore, è diventato il precedente malvagio, che tutto giustifica. Quel genocidio viene ancora raccontato strumentalizzandolo, piegandolo alle esigenze politiche delle parti. Non si racconta la meccanica terribile di più di 8mila omicidi. Non si narra il terrore di ragazzi, uomini, giovani, macellati con indifferenza, forse con piacere. Il vuoto di giustizia in Bosnia ha creato i presupposti per quanto sta accadendo oggi: a vincere è sempre il più forte, il più crudele. Non importano torti, crimini o motivi. Il più forte ha ragione, vince e basta.
E così, Netanyahu può massacrare 60mila palestinesi e programmarne l’esilio senza incontrare reale opposizione da parte del resto del Mondo. Può cacciare dai territori che occupa illegalmente le agenzie dell’Onu che assistono la popolazione, senza che vi sia alcuna reale reazione da parte della Comunità internazionale. Contemporaneamente, il presidente russo Putin può invadere un Paese sovrano, l’Ucraina, sapendo di trovare legittimità nella propria azione: avrà sempre chi lo giustifica a prescindere da trattati, dichiarazioni universali e diritti. E il presidente statunitense Trump, con la stessa logica, la logica del più forte, può tentare di pretendere dal Paese aggredito la resa incondizionata, per arrivare ad una pace che conviene a lui, non a chi è stato aggredito.
È un'unica corda a legare ogni punto della trama. Una corda che ha impiccato i diritti umani e ucciso la speranza che avevamo - quanto è sembrata concreta e realizzabile, a volte? – di rendere l’orrore della guerra, con i suoi genocidi, le stragi, il terrore, un residuo del passato. Non è successo.
E Srebrenica è un buco nero, che ci inghiotte ogni giorno.
Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009.