Mondiali in Brasile, l’importante è partecipare

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Può funzionare, la Bosnia ed Erzegovina? Francesco Costa, un giornalista italiano, ha posto questa domanda in un lungo articolo dedicato a quella che potrebbe essere una delle squadre rivelazioni dei Mondiali di calcio in Brasile. È interessante che per una volta, una domanda del genere possa riguardare qualcosa di diverso dalla politica e la storia.

La Bosnia ed Erzegovina è l’unica squadra esordiente a questi Mondiali di calcio. È anche la rappresentativa di una nazione giovanissima nata al termine di una guerra che è finita da meno di un decennio e che ha coinvolto direttamente molti dei suoi giocatori e delle loro famiglie. Gli accordi di Dayton che nel 1995 misero fine alla guerra civile degli anni Novanta divisero la Bosnia in due entità, un distretto, tre presidenti e tre parlamenti. Anche la federazione calcistica nazionale aveva tre presidenti e forse li avrebbe anche oggi, se non fosse intervenuta la FIFA qualche anno fa. È in questo contesto che nel 1995 nasce la Nazionale di calcio. Nel 2014, per la prima volta nella sua breve storia di nazione, la Bosnia Erzegovina parteciperà ai Mondiali di calcio in Brasile essendo arrivata prima nel suo girone di qualificazione con otto vittorie su dieci.

La cavalcata che ha portato la Bosnia a divenire un simbolo di rigenerazione e unità nazionale è stata descritta, tra gli altri, da James Montague nel suo libro ‘Thirty-one nil’. “Il calcio è uno specchio della società: questo sport ha un enorme potenziale che può essere utilizzato come uno strumento per costruire nazioni intere”. L’idea del libro venne a Montague nel 2009, mentre assisteva alla partita tra Egitto e Algeria, caratterizzata da una violenta rivalità tra le due squadre incitata dai rispettivi governi. Da allora, Montague ha portato a fondo un’originale ricerca sulle tracce delle rappresentative nazionali che si sono giocate la qualificazione mondiale come se fosse uno strumento di costruzione (o ricostruzione) della nazione. Il titolo del libro viene dalla più larga vittoria (e sconfitta) mai raggiunta in una partita di qualificazione ai Mondiali: il 31-0 dell’Australia ai danni delle Samoe Americane, il cui tentativo di affermarsi come nazione attraverso il mondo del calcio andò a schiantarsi piuttosto malamente.

James Montague ha identificato decine di esempi che raccontano come le qualificazioni ai Mondiali di calcio siano uno strumento di geopolitica per nazioni che hanno recentemente sperimentato guerre, crisi sociali, o che semplicemente non esistevano. Se la Bosnia spera di ottenere qualche successo per ottenere la ribalta mondiale, alla selezione di calcio del Kosovo, invece, basterebbe molto meno: ad esempio, esser riconosciuta dalla FIFA e ottenere il diritto di far suonare il proprio inno ed esibire la propria bandiera in occasione delle partite. Ai giocatori di altre rappresentative nazionali, tuttavia, la qualificazioni ai Mondiali è costata molto cara. I giocatori della Corea del Nord, che avevano sorprendentemente conquistato l’accesso ai Mondiali in Sudafrica nel 2010, hanno pagato a caro prezzo le tre pesanti sconfitte rimediate nella competizione: al loro ritorno è stato allestito per loro un palco al Palazzo della Cultura popolare dove la squadra è stata tenuta ferma in piedi per sei ore, mentre l’allenatore Kim Jong-Hun è stato deportato in un cantiere edile di Pyongyang. Il motivo delle punizioni era il tradimento della fiducia del dittatore, il “Caro Leader” Kim Jong-Il. Meglio andò ai vincitori del Mondiale del 1986, disputato in Messico. L’Argentina allora sconfisse l’Inghilterra grazie al famoso goal segnato dalla mano di Diego Armando Maradona, che giustificò la sua rete come una giusta vendetta per le centinaia di argentini uccisi nel conflitto contro l’Inghilterra per il possesso delle Isole Falkland.

Nell’epoca in cui viviamo, l’evoluzione del calcio ha trasformato questo sport in un affare miliardario. Il capitalismo è ostentato in tutte le competizioni di club, nazionali e internazionali, caratterizzate da contratti milionari, sponsor, pubblicità, e speculazioni di ogni tipo. I Mondiali certamente non fanno eccezione. Ma la logica di questo torneo, le motivazioni che spingono i giocatori verso la vittoria, non sono legate esclusivamente a contratti lucrativi. In alcuni casi, la rincorsa di un Mondiale di calcio rappresenta la costruzione della nazione; in altre la glorificazione di dittatori; e in altre ancora, la ritrovata unità nazionale dopo un periodo di sanguinosi conflitti. Anche le domande più innocue ai Mondiali di calcio, in fondo, riguardano inevitabilmente la politica e la storia.

Lorenzo Piccoli

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