La strage di Ardea con la pistola “ereditata”

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Foto: Unsplash.com

Una tragedia annunciata. Che solleva una serie di interrogativi che non si può più fingere di non vedere ed ai quali la politica è chiamata a dare risposte urgenti. Il 13 giugno ad Ardea (Roma), Andrea Pignani, un ingegnere disoccupato di 34 anni con problemi psichici che era stato sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio per i suoi precedenti comportamenti violenti verso la madre, ha ucciso i fratelli Daniel e David Fusinato di 10 e 5 anni, e un passante, Salvatore Ranieri, 74 anni, intervenuto per soccorrere i due bambini. Si è quindi barricato in casa ed i carabinieri per circa tre ore hanno cercato di convincerlo ad arrendersi ma, quando hanno fatto irruzione in casa, si è sparato con la stessa arma. 

L'arma utilizzata, una pistola Beretta 7,65, apparteneva regolarmente al padre, una guardia giurata, che è deceduto lo scorso novembre. La moglie non ne avrebbe però segnalato la morte alle autorità di pubblica sicurezza e, di conseguenza, non avrebbe comunicato il possesso della pistola che anzi, stando ad alcune fonti, sarebbe risultata scomparsa. 

E qui sta il primo problema, di tipo burocratico: la comunicazione tra uffici dell’anagrafe e autorità di pubblica sicurezza riguardo al decesso di una persona. Mentre, infatti, è obbligatorio comunicare all’anagrafe il decesso di un famigliare, l’anagrafe non è tenuta ad avvisare le autorità di pubblica sicurezza. Se, in via generale, questo può non rappresentare un problema, lo diventa nel momento in cui la persona deceduta era in possesso di armi da fuoco. Spetterebbe infatti ai famigliari comunicare a polizia o ai carabinieri il decesso del detentore dell’arma e, di conseguenza, la presenza in casa di armi, regolarmente o illecitamente detenute. Si tratta di un obbligo di legge con conseguenze penali che però, pur prevedendo l’arresto da tre a dodici mesi, di solito si risolve con una semplice ammenda fino a 371 euro. 

Ma c’è un problema più rilevante e che sta alla radice della questione. Riguarda la facilità con cui si può ottenere una licenza per armi e con cui si può rinnovarla anche in età avanzata. Contrariamente a quanto si pensa – e viene fatto credere – in Italia non è affatto difficile ottenere una licenza per armi. A qualsiasi cittadino, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicodipendente è infatti consentito di ottenere una licenza per armi dopo aver superato un breve esame di maneggio delle armi e un controllo da parte della Questura sui suoi precedenti penali per verificarne l’affidabilità. Dal punto di vista medico, tutto si basa sul certificato anamnestico, di fatto un’autocertificazione controfirmata dal medico curante, e una visita presso l’Asl simile a quella per ottenere la patente di guida: non è prevista, di norma, alcuna visita specialistica, né un esame tossicologico, né una valutazione psichiatrica nemmeno per gli anziani.

Il rinnovo della licenza deve essere effettuato solo ogni cinque anni: anche in questo caso non è generalmente richiesto alcun esame clinico o psichiatrico nemmeno nel caso di anziani. Non solo: in caso di mancato rinnovo entro i cinque anni non è prevista alcuna sanzione anzi, addirittura, spetta alle autorità di pubblica sicurezza notificare al possessore di armi la necessità di presentare il certificato anamnestico, cosa che può fare comodamente entro 60 giorni.

Non esistono dati ufficiali del Viminale sul numero di armi legalmente detenute in Italia: le stime variano dagli 8 ai 10 milioni. Se si pensa che anche solo un 1 percento di queste armi potrebbero sfuggire in caso di decesso del detentore – come nel caso di Ardea – ai controlli di pubblica sicurezza si tratta di 80-100 mila armi: un vero arsenale. Il problema delle “armi lasciate in eredità” andrebbe pertanto risolto alla radice introducendo controlli medici più frequenti e rigorosi sui legali detentori di armi ed in particolare sugli anziani: non è accettabile che le armi vengano detenute fino alla morte col rischio che poi finiscano nelle mani sbagliate. 

C’è infine un problema culturale e politico. Per anni la Lega di Salvini, cavalcando la paura dei cittadini a fronte di alcuni rari casi di omicidi per furti, ha inteso legittimare la detenzione di armi per difendere la proprietà. Salvini lo ha fatto partecipando, anche da ministro, alla fiera delle armi di Vicenza, HIT Show mostrandosi con le armi in pugno. Un messaggio di cui non si sentiva alcun bisogno. 

Articolo uscito per Il Manifesto

Giorgio Beretta

Analista del commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni. Svolge la sua attività di ricerca per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia e collabora con la Rete Pace e Disarmo. Ha pubblicato diversi studi, oltre che per l’Osservatorio Opal, anche per l’Osservatorio sul commercio delle armi (Oscar) di Ires Toscana (Istituto di ricerche economiche e sociali) della Cgil di Firenze, per l’Annuario geopolitico della pace di Venezia e numerosi contributi, anche sul rapporto tra finanza e armamenti, per diverse riviste e quotidiani nazionali. 

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