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Italia: manette per le voci libere sulla guerra
Giustizia e criminalità
Stampa
Arrivano le manette per i giornalisti scomodi al governo, contrari alla guerra e critici sulla missione in Iraq. E' quanto è stata approvata al Senato ieri una "riforma" del codice penale militare che prevede tra l'altro pene gravissime e lunghe detenzioni per i giornalisti che scriveranno articoli sulle missioni militari, compresa quella in corso a Nassiriya. Per effetto delle norme approvate ieri dalla maggioranza di centrodestra a palazzo Madama diventano "operativi", cioè pienamente in vigore anche gli articoli 72 e 73 del codice penale militare italiano là dove la legge recita che viene punita "l'illecita raccolta, pubblicazione e diffusione di notizie militari". Il giornalista che verrà accusato di questi "reati" potrà essere condannato ad una pena variante tra i due e i dieci anni di carcere, ovviamente militare e se queste notizie verranno "divulgate" la pena potrà essere raddoppiata e arrivare fino a venti anni di carcere.
L'iniziativa della maggioranza di governo sta già provocando proteste e suscitando polemiche. Il senatore Ds, Elvio Fassone, sostiene che la riforma "rischia di avere conseguenze molti gravi anche nel campo della libertà di informazione". Il segretario della Federazione della Stampa italiana, Paolo Serventi Longhi, parla di "misura gravemente lesiva dell'indipendenza e dalla libertà dell'informazione". Da Alfio Nicotra, giornalista professionista e responsabile nazionale del settore Pace del Prc, ha mandato una lettera aperta a Serventi Longhi per sollecitare a una posizione più determinata per una vera indipendenza dai vertici militari. "La vicenda del nuovo codice militare sistematizza la censura e criminalizza chiunque non accetti le verità preconfezionate - scrive Nicotra, che continua - Autocensure da tempo caratterizzano l'informazione di guerra nel nostro Paese a tal punto che il direttore del TG4 è arrivato a definire "terrorista" la sua inviata a Baghdad. Sorvoliamo poi sull'annosa questione dei giornalisti "arruolati" quelli "embedded", di fatto protesi della macchina propagandistica militare. Il nuovo codice penale militare "disintegra" lo stesso concetto di guerra spalmandolo nella normalità quotidiana".
Il corrispondente straniero del Washington Post, Rajiv Chandrasekaran, che ha lasciato l'Iraq dopo 18 mesi di lavoro nel giornale di Baghdad descrive il "giornalismo da controllo remoto". anche se, in realtà nessun giornalista occidentale è contento di rivelare notizie da remoto. "Nessuna Domanda, questo affligge la qualità della notizia" affermano lui e i suoi colleghi. Essi, non vogliono neppure rivelare il loro nome per paura di essere accusati di collaborazione con gli americani. "C'è un numero talmente alto di cose che non abbiamo potuto raccontare a causa dei pericoli", dice Chandrasekaran. "Ogni persona che lavora in questo campo è in pericolo", dice come di una missione nell'aiuto dei corrispondenti per raccontare le storie dell'Iraq al resto del mondo. Secondo Chandrasekaran gli stipendi che possono guadagnare gli assistenti iracheni variano da 1000 a 1700 dollari mensili, per i traduttori-correttori-reporter che fanno funzionare la stampa occidentale, un reddito da classe media, in un economia povera di lavori.
Intanto non ci sono informazioni sul luogo di detenzione di Christian Chesnot e Georges Malbrunot, i due giornalisti francesi che erano stati rapiti, il 20 agosto scorso, mentre andavano a Najaf, da alcuni sconosciuti a bordo di due macchine, una Mercedes bianca e un'automobile coreana. Il rapimento è stato in seguito rivendicato da un gruppo che si che si faceva chiamare L'esercito islamico dell'Iraq. La scorsa settimana è stato liberato Mohammed Al-Joundi, che lavorava come interprete e autista con i due giornalisti francesi al momento del rapimento. L'ex ostaggio avrebbe dichiarato di essere stato separato da Christian Chesnot e Georges Malbrunot il mese scorso e di non sapere cosa è successo da allora ai giornalisti, ma che non ha nessun motivo per pensare che si trovino ancora a Falluja. Per il prossimo 24 novembre Reporter senza frontiere propone ai media italiani e internazionali una giornata a sostegno dei giornalisti prigionieri nel mondo per aver voluto informarci e pubblica un nuovo album fotografico "Jean Dieuzaide per la libertà di stampa". Una grande giornata di mobilitazione di tutti i media internazionali per sostenere i giornalisti privati della libertà. Più di 200 redazioni nel mondo, circoli della stampa, festival, associazioni o premi giornalistici, hanno già deciso di sostenere un giornalista prigioniero o un cyberdissidente.
Altre fonti: Unità, Mega Chip, Federazione Nazionale stampa italiana