Iraq: indagini sulla missione italiana, voci di verità

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Con una mossa a sorpresa, il governo ha deciso di inserire la proposta di rifinanziamento della missione "Antica Babilonia" e di altre missioni all'estero, come quella in Afghanistan all'interno del maxi emendamento al decreto 1.2000, sul quale ha già posto la fiducia al Senato e che ora dovrà passare alla Camera. Non ci sarà così la possibilità di discutere nel merito di quella che, definita "missione di pace", si mostra ogni volta di più missione di guerra. E in merito il Ministro Martino ha affermato di recente, davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato, che la missione italiana cambierà pelle, diventando "davvero" umanitaria. Ma, come sottolinea Gino Strada "se si tratta di curare i bambini non servono carabinieri ma servono pediatri. Se si tratta di costruire case, pozzi, scuole, ospedali servono ingegneri e non serve il battaglione Tuscania".

La procura militare, dopo lo scandalo delle armi e dei reperti trafugati in Iraq, ha iscritto nel registro degli indagati un altro militare, ma questa volta per un crimine ben più grave: violazione dell'articolo 191 del codice militare di guerra, che vieta di sparare sulle ambulanze. "Sparai contro il mezzo perché così mi fu ordinato dal mare⭀sciallo Stivai. Se mi fossi accorto che si trattava di un'ambulanza mai e poi mai avrei sparato e avrei chiesto spie⭀gazioni al superiore", racconta il militare indagato, le cui affermazioni smentiscono quanto dichiarato dall'allora ministro degli esteri Franco Frattini, che in Parlamento dichiarò: "Non è vero che si trattava di un mezzo di soccorso, era un'autobomba". E' quanto emerge da un articolo di Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, che ripropone ancora una volta il problema del silenzio su quanto davvero succede a Nassirya.

La strategia del ritiro, in qualunque modo la si voglia chiamare, è ormai nell'agenda politica di tutti i paesi partecipanti alla coalizione, in primo luogo in quella degli Usa. Secondo Stephen Walt, docente di relazioni internazionali all'università di Harvard, "gli Stati Uniti dovrebbero ritirarsi dall'Iraq fissando un limite di diciotto mesi. Questo permetterebbe di evitare di indebolire l'esercito americano ...Bisognerà presentare questa decisione non come un ritiro, né come una partenza, ma come un riposizionamento strategico". Ma ammette che, se ci sono molte cose che può fare un potere militare, ce ne é una che non è possibile, né lo sarà mai: governare un paese.

L'Iraq oggi si trova, dopo le elezioni, sempre più diviso a livello confessionale, e questo si riflette nella vita quotidiana: da quello che succede nella città di Kirkuk, dove i curdi, nell'attesa di un referendum, fanno le prove generali di un'annessione ancora da venire; a quello che succede in molte città irachene, dove, con il crescere delle tensioni confessionali e il diffondersi di discorsi di guerra civile, un numero sempre maggiore di iracheni si sta trasferendo in zone in cui predomina il loro gruppo religioso.

E' questo il destino dell'Iraq? E' la domanda che si pone Tariq Ali, analizzando quanto successo nel paese con l'emergere delle divisioni confessionali, e con la vittoria degli sciiti alle elezioni. Una tendenza che probabilmente non si sarebbe potuta evitare, e che sicuramente non era possibile evitare per gli Stati Uniti. Inevitabile anche secondo Gilbert Achcar, per il quale "se si stabilisce in Iraq un regime politico basato su elezioni democratiche, è praticamente inevitabile che le forze sciite simpatizzanti dell'Iran le vincano. Non ci sono che gli ingenui - per non usare un termine più duro - che a Washington potevano pensare che gli Usa potessero mettere in piedi un regime sotto loro controllo" .

A cercare di bilanciare diversamente la politica espressa dal nuovo Parlamento iracheno restano, ancora secondo Achcar, le istanze della "società civile" irachena, in particolar modo i sindacati. Sindacati che a gennaio hanno espresso in un documento le loro contrarietà alle politiche del FMI e della Banca Mondiale, proponendo una diversa agenda per l'economia irachena, in un paese dove una recente indagine ha valutato al 20% la percentuale di famiglie povere e in condizioni di miseria.

Una delegazione di questi sindacalisti sarà in Italia dalla prossima settimana, invitata da "Costruire Ponti di Pace". Dal 7 al 10 febbraio la delegazione parteciperà al Congresso Nazionale della Fiom, mentre l'11 e il 12 febbraio sarà insieme al Movimento contro la Guerra a Firenze, dove si terrà l'assemblea nazionale, prima tappa di avvicinamento alle giornate mondiali ed europee contro la guerra del 18 e 19 marzo. Dal 13 al 20 febbraio i sindacalisti iracheni continueranno il loro tour italiano ospiti di numerose città.

Fonte: Osservatorio Iraq

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