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Desaparecidos: il Messico in cerca di verità e giustizia
Giustizia e criminalità
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“Vivi li hanno presi, vivi li rivogliamo” è lo slogan che ha animato la campagna di indignazione ed esigenza di giustizia per i 43 studenti normalistas scomparsi a Iguala il 26 settembre scorso. Dopo l’annuncio dato il 7 novembre dal Procuratore Generale della Repubblica Jesús Murillo Karam che ufficializza la morte dei 43 studenti desaparecidos, in tutto il Messico le manifestazioni di indignazione e rabbia si sono ulteriormente intensificate. “Fue el estado” è lo slogan più urlato, twittato, scritto sugli striscioni, a denunciare gli evidenti vincoli tra i cartelli dei narcotrafficanti ed i funzionari statali. “Ya me cansé” è l’altro slogan, che riprende il terribile “adesso mi sono stancato” pronunciato dallo stesso procuratore in conferenza stampa per chiudere e tagliare ogni possibile ulteriore domanda sugli studenti fino a quel momento dati per scomparsi. Intanto il presidente Peña Nieto pensava bene di confermare il viaggio dal 10 al 15 novembre in Cina e Australia dove avrebbe partecipato al Foro di Cooperazione Asia-Pacifico e al G20. Come a dire tutto va bene, insomma, nessun problema di legittimità per il suo governo. L’8 novembre, infatti, in tutto lo Zocalo di Città del Messico, una delle piazze più grandi del mondo, risuonava il grido “fuera Peña”, che se ne vada il presidente, e ad un certo punto la porta del palazzo nazionale ha preso fuoco per qualche istante, accerchiata da persone con le torce in mano a richiamare una presa della Bastiglia che però, almeno per quella notte, non si è avverata.
Il caso dei 43 studenti ha suscitato molte reazioni, prima fra tutte quella dei genitori dei ragazzi, che hanno rifiutato la conclusione del governatore, almeno fino a quando non ci saranno le prove inconfutabili della fine dei loro figli. I resti dei corpi si trovano ora in un laboratorio austriaco, il più possibile lontano da inquinamenti delle prove, ma le condizioni dei resti sono talmente compromesse che pare difficile effettuare analisi del DNA. Murillo ha dichiarato che gli studenti sono stati catturati da agenti della polizia municipale di Iguala, per essere poi trasferiti in una località isolata dove sono stati uccisi da membri del commando criminale Guerreros Unidos. I corpi sarebbero poi stati dati alle fiamme, ed i resti raccolti in alcuni sacchi di plastica rinvenuti in una discarica e in un fiume a pochi chilometri da Iguala. Le dichiarazioni di Murillo sono state rese note a partire dalle confessioni di tre detenuti che avrebbero partecipato al massacro.
L’aspetto curioso è che Alejandro Solalinde, il sacerdote-attivista per i diritti dei migranti, aveva già dato questa versione dei fatti un paio di settimane prima dell’annuncio del governo, dopo che quattro persone la cui identità non è stata rivelata lo avvicinarono per offrire la loro testimonianza. Altro aspetto ancora da chiarire riguarda le responsabilità dirette da parte dell’esercito federale, dato che un contingente era dislocato a meno di un chilometro di distanza dal luogo della mattanza, che sarebbe durata varie ore. “Ci siamo resi conto solo all’ultimo momento” è stata la disarmante dichiarazione del colonnello Juan Antonio Aranda Torres, comandante del ventisettesimo battaglione di Iguala.
Un’ulteriore domanda chiave è perché nessuno abbia tentato di spiegare le ragioni della strage, ammesso che una simile carneficina possa avere delle motivazioni plausibili. Una voce riportata da diversi organi di informazione è che l’ordine di arresto dei giovani sia partito dal sindaco di Iguala, José Luis Abarca, per evitare che gli studenti disturbassero il resoconto periodico che la moglie, presidentessa del DIF (Desarrollo Integral de la Familia, istituzione pubblica di assistenza sociale), si accingeva a dare proprio quel giorno. Sindaco e consorte sono stati arrestati nella capitale il 4 novembre con l’accusa di essere i mandanti morali della strage, senza che ciò soddisfi le esigenze di giustizia dei familiari delle vittime e di un paese intero, che si è “stancato”, parafrasando Murillo, di essere preso in giro e di vedere i propri rappresentanti istituzionali lavarsi le mani e non assumersi le responsabilità delle atrocità commesse.
Quello che spaventa e fa riflettere è che i 43 sono solo gli ultimi di una serie impressionante di persone scomparse in Messico in nome della guerra contro il narcotraffico. Più di 25.000 sono i desaparecidos solo durante il governo di Felipe Calderón, presidente dal 2006 al 2012, secondo quanto riportato dal Washington Post e dal settimanale messicano d’inchiesta Proceso. E pare proprio che il cambio alla presidenza non abbia implicato alcun cambiamento in questa tendenza.
Una base di dati sulle persone scomparse in Messico tra il 2006 e il 2012 è disponibile sulla pagina dell’organizzazione indipendente Propuesta Cívica, che parla di 20.851 persone scomparse tra il 2006 e il 2012, fornendo nomi, età, aspetto fisico e circostanze in cui è avvenuta la sparizione. Ciononostante, il già citato Procuratore Generale della Repubblica Murillo, dichiarò paradossalmente in un’intervista di non essere a conoscenza di alcuna lista di desaparecidos. Anche il giornalista italiano Federico Mastrogiovanni si è occupato di desaparecidos in una ben documentata inchiesta dal titolo “Ni vivos ni muertos” (Nè vivi nè morti) recentemente pubblicata in Messico, dove denuncia le sparizioni come precisa strategia politica da parte del governo, atta a favorire, e non a contrastare come si dichiara, le organizzazioni criminali e le multinazionali del petrolio.
Intanto il 13 novembre sono partite tre carovane dei genitori dei desaparecidos, che hanno percorso vari stati per confluire giovedì 20 novembre ancora una volta nello Zocalo, dove si è svolta una grande manifestazione in contemporanea con altre centinaia di città in tutto il Messico, oltre che nel resto del mondo. Una giornata globale di lotta per la verità e la giustizia, mentre gli occhi di tutto il mondo sono puntati sul Messico e ci si chiede da un lato come potrà il governo messicano uscire da questa situazione di scarsa credibilità, dall’altro come i vari movimenti sociali, apparentemente rafforzati da questa situazione di crisi, riusciranno ad essere incisivi.