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Contro la piaga del caporalato più interventi pubblici e territoriali
Giustizia e criminalità
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Foto: jesse orrico da Unsplash.com
Caporalato. Si tratta di un fenomeno in costante espansione nel nostro paese, di non facile soluzione per i troppi interessi ad esso legati e le migliaia di persone che lo alimentano, incapaci di reagire alle organizzazioni e ai racket che ne hanno il controllo.
L’attenzione mediatica prevalentemente rivolta alla cronaca dei singoli casi di sfruttamento del lavoro, richiamati spesso sotto l’etichetta di caporalato, non deve far perdere la visione d’insieme e depotenziare il messaggio di riprovazione di un fenomeno tanto aberrante quanto non episodico.
E dove la ricerca indiscriminata del profitto, più volte condannata anche da papa Francesco, induce a calpestare i diritti e la dignità delle persone coinvolte, fino ad attentare alla loro stessa incolumità fisica.
Merita dunque approfondirne le dimensioni e le cause della sua vigorosa permanenza e dare indicazioni propositive per una più decisa e condivisa azione di contrasto. Praticato in tutta Europa con varia intensità, il caporalato è presente soprattutto in Portogallo, Romania, Grecia, Spagna e Italia, con modalità differenti ma sempre assai lucrose per chi le promuove.
Nel nostro paese, diffuso sull’intero territorio nazionale e in tutti i settori produttivi, opera con particolare pervasività e asprezza nei comparti agroalimentari. Lo fa attraverso forme illegali di reclutamento e organizzazione della manodopera – inclusa la tratta di esseri umani e la riduzione in schiavitù – che si esercitano nei confronti di persone in stato di necessità, spesso in fuga da guerre e povertà assoluta.
Al riguardo occorre ricordare come molte aziende agricole, strette tra la concorrenza interna e internazionale, e l’incertezza delle “aste a doppio ribasso”, per diventare più competitive e accrescere i profitti, anziché su innovazioni tecnologiche e di processo, abbiano preferito puntare sulla concorrenza sleale, comprimendo al massimo il costo della manodopera.
Non si tratta solo di paghe infime (2-3 euro l’ora) ma di condizioni di lavoro e di vita inumane e degradanti cui sono sottoposti i lavoratori, in gran parte stranieri, stipati in alloggi abusivi privi di servizi igienici, ubicati lontano dai centri abitati, in grado di sottrarsi a ogni controllo.
Fenomeno in espansione
Ufficialmente, le vittime dello sfruttamento sono quelle identificate nell’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) che nel rapporto 2022, ricorda essere “svolta sulla base di preventive attività di intelligence”. In realtà quelle “identificate” sono solo la punta dell’iceberg, la minima parte delle numerose persone colpite da un fenomeno criminale sommerso e in costante propagazione.
Il forte aumento delle vittime scoperte dall’Inl nel 2021 rispetto al 2019 (da 1.488 a 2.192: + 47,3%) e il più che raddoppio dei lavoratori in nero (da 741 a 1.680), appaiono chiari indicatori della tendenza espansiva. Le accresciute ispezioni “mirate”, pure se riferite solo in parte all’agricoltura (11,7%), riflettono l’accresciuta presenza di braccianti in condizione di essere sfruttati che restano in gran parte invisibili.
L’European House Ambrosetti, nel 2020 stimava in 80 i distretti produttivi interessati al fenomeno, con circa 400mila persone coinvolte (oltre 600 milioni di euro l’evasione fiscale e contributiva); mentre nello stesso anno il quinto rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil calcolava in 180mila le persone sottoposte a sfruttamento lavorativo e caporalato nel solo settore agricolo: quasi due terzi in più rispetto al 2018 (110 mila).
Non si dispone di stime aggiornate ma lo sfavorevole contesto socio economico dell’ultimo biennio fa ritenere non invertita la tendenza pregressa e dunque ampliata la sua dimensione. L’immigrazione irregolare rappresenta la maggiore fonte di pescaggio di lavoratori indifesi da sfruttare e ricattare brutalmente.
Ad acuire la loro vulnerabilità ha contribuito la pandemia che ha accentuato fragilità e marginalità sociale di persone già soggette a violenze e torture durante il viaggio e la permanenza nei centri di detenzione in Libia. Il clima politico sociale poco favorevole ad accoglienza e integrazione ha finito per rallentare la regolarizzazione dei lavoratori stranieri che avrebbe ristretto la platea delle potenziali vittime.
Il rapporto 2022 del Centro Astalli, rileva che a fronte di oltre 207mila domande di sanatoria presentate nel 2019 dai migranti, a fine 2021 quelle accolte erano meno del 20%. Provenienti in prevalenza da Nigeria, India, Senegal ed Eritrea, i due terzi degli immigrati vengono trattenuti nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) in condizioni disumane, raggruppati in spazi ridotti (fino a 10 volte in più della prevista capienza) dai quali molti si allontanano per poi cadere nelle mani dei caporali, moltiplicando i casi di sfruttamento soprattutto nelle regioni meridionali...