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Se il lavoro guarda al futuro…
Codici di condotta
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Panificatori con una missione. Ecco chi sono, come si firmano. Ecco il messaggio che vogliono trasmettere, perché anche se sono imprenditori lo scopo non è solo vendere.Di chi stiamo parlando? Di loro, la squadra di Greyston, panificio newyorkese fondato nel 1982 e giunto a oggi a 16000 kg di brownies al giorno sfornati, oltre 3500 opportunità di lavoro create, un fatturato annuo di oltre 20 milioni di dollari e 19000 famiglie servite (dati bilancio 2016). Per quanto ogni piccola realtà abbia le sue peculiarità e le sue ragioni per destare la nostra attenzione e per quanto ogni storia valga la pena di essere raccontata, non tutte hanno questa possibilità. E cosa c’è allora di così significativo in un panificio degli States, per parlarne qui su Unimondo?
Più di qualcosa. Cambiamenti, sfide, opportunità che fanno leva sull’Open Hiring™, un modello di impresa (sociale) di cui si sono fatti pionieri proprio i fondatori di questo panificio, basato sull’inclusione di profili emarginati dal mondo del lavoro e selezionati attraverso pratiche che non corrispondono alle tradizionali modalità utilizzate. In pratica, i dipendenti vengono assunti in ordine cronologico, senza presentare CV o lettere motivazionali, senza sostenere colloqui o subire verifiche sul proprio passato: questo permette a persone che abbiano attraversato momenti non proprio limpidi, dal vagabondaggio al carcere, dalle dipendenze a percorsi migratori non ancora regolarizzati, di accedere non solo a opportunità di lavoro, ma a un lavoro, punto e basta.
Tipicamente, le pratiche di selezione del personale setacciano i candidati eliminando i profili con un passato difficile:un report di ACLU (American Civil Liberties Union) del 2017 evidenzia come, dei 70 milioni di americani con la fedina penale compromessa, il 75% sia ancora senza occupazione a un anno dalla scarcerazione. È evidente che la condizione psicologica, sociale ed economica che queste dinamiche alimentano non può che ricondurli a breve termine nel circolo ostinato della povertà e dell’illegalità.
Ci sono però prove di imprenditorialità che vanno in direzione contraria e l’esempio di Greyston non è il solo. Approcci simili sono stati adottati da altre piccole realtà come Ovenly, un altro panificio della città, o come Hot Chicken Takeover (una catena di ristoranti dell’Ohio), ma anche da grandi marchi come Starbucks, che si appoggiano a quella che chiamano “fair-chance hiring”, un’opportunità equa di assunzione: al(la) candidato/a non viene richiesta alcuna credenziale pre-assunzione, ma gli/le viene data la possibilità di raccontare, solo a conclusione del procedimento, gli eventuali motivi per cui per lungo tempo non abbia avuto un lavoro. Un modo di porsi che, oltre a limitare gli stereotipi e la loro epidemica diffusione, incoraggia chi si trova in una situazione non semplice a mettersi in gioco e a non demordere nella ricerca di un impiego. La valutazione non avviene sulla storia del singolo, ma sulla sua abilità nel lavoro richiesto: quando si libera una posizione, le persone vengono chiamate secondo una lista d’attesa e si impegnano per un periodo di prova – pagato – che va dai 6 ai 10 mesi e che include formazione sulle macchine ma anche sulle soft skills, dal lavoro di squadra alle lezioni di lingua inglese; in alcuni casi si può accedere anche a buoni pasto, a un orario di lavoro flessibile e ad alcuni incontri di counseling. I dati ci dicono che circa il 50% di chi comincia l’apprendistato sceglie di completarlo, rimanendo in azienda e ottenendo a quel punto un contratto per una posizione junior, con la possibilità di migliorarlo nel tempo, con l’esperienza.
"Non assumiamo persone per preparare brownies, prepariamo brownies per assumere persone", si legge sul sito di Greyston Bakery. Ma funziona? Pare di sì. Anzi, questo modello inclusivo di business è così vincente che il panificio ha lanciato recentemente l’Open Hiring Center, un centro di apprendimento collaborativo che, mentre elabora, migliora e definisce questo approccio, si propone anche come supporto per altre realtà che desiderino adottarlo. Si tratta di “un processo di reclutamento basato sull’assenza di pre-giudizio e sull’inclusione radicale”, sostiene con orgoglio Mike Brady, presidente e direttore generale di Greyston. Ed è convinto di una cosa: avere una fedina penale pulita non significa essere onesti o meritevoli di fiducia, come non significa essere a ogni costo dei malintenzionati nel caso contrario. E giudicare in base al solo passato di un candidato contiene in sé quel germe di fallimento che si annida nella storia personale di ciascuno e che a volte ci fa diventare persone peggiori di quello che potremmo essere. E lo dimostrano dati del 2017 che danno al 73% il turnover nell’industria alimentare in generale, mentre al solo 39% in Greyston: non sempre dare fiducia crea fiducia, ma vale la pena provare se questo serve a ridurre gli stigmi (anche razziali) che marchiano di disgrazia il futuro di chi già si trova un passato complicato da elaborare, dove a volte non esistono seconde possibilità, perché non ce n’è stata nemmeno una prima. E sono le parole di una dipendente a dire con poco il molto che sottende a questa politica aziendale: “Adoro il fatto che loro abbiano notato quel potenziale che io in me non ho mai visto. È ciò che mi spinge a dare il meglio”.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.