Le orche, le scimpanzé e la menopausa

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Foto: Unsplash.com

La menopausa, un altro bell’ingombrante tabù dei nostri giorni. Il declino di una donna per alcuni, l’era di trasformazioni al ribasso per altri – quando va bene. In poche parole, molto grezze e molto riassuntive per purtroppo molti più maschi di quanti si pensino, la donna smette di essere fertile. Non è più utile quindi, giusto? 

Sono pensieri talmente amalgamati nella società che la donna stessa, quando raggiunge questa fase della propria vita, trova in agguato ad attenderla pensieri come “sono ormai vecchia”, “i miei giorni migliori sono passati”, “non mi sentirò più bene come prima”. Un assetto mentale che trova a perimetro una serie di pensieri limitanti alimentati dal contesto culturale in cui viviamo, impreparato ad accogliere e accompagnare il cambiamento in molti dei modi in cui si esprime, compreso quello relativo ad un passaggio importante che riguarda una buona parte del genere umano. E non solo.

Perché la menopausa è una cosa che affrontano anche altri mammiferi che, a differenza di tantissime altre specie, non generano figli per tutta la vita. Per esempio, secondo uno studio recente che rafforza precedenti rilevazioni, le orche. Pubblicata su «Nature» lo scorso marzo, la ricerca guidata dal biologo dell’Università di Exeter Samuel Ellis asseconda l’ipotesi che, almeno per quanto concerne i cetacei, questo passaggio sia un vantaggio evolutivo che riduce la competizione tra femmine e rende più facile la quotidianità dei branchi. Ma se l’evoluzione dovrebbe favorire chi riesce a generare il maggior numero di discendenti, quello della menopausa è allora un fenomeno controtendenza e per nulla scontato (che riguarda altri cetacei oltre alle Orcinus orca, e nello specifico le pseudorche, i globicefali di Gray, i beluga e i narvali). Che anzi, attraverso le orche, ci dice che la menopausa non accorcia la vita delle femmine, ma la allunga: le femmine dei cetacei che vanno in menopausa vivono in media una 40ina d’anni in più rispetto alle femmine di altre specie che, a parità di stazza, in menopausa non vanno. Gli autori dello studio ritengono che la menopausa per questi cetacei sociali arrivi quando le figlie raggiungono l’età della riproduzione e dunque le madri possono “fare semplicemente le nonne”, senza competizioni, anzi ottimizzando le risorse ed evitando i conflitti

I risultati di un altro studio pubblicato su «Science» ci dicono però che anche le scimpanzé, tra i primati più simili all’uomo, attraversano questa delicata fase della vita, finora per lo più ignorata dalla ricerca scientifica e fenomeno apparentemente non coerente con i principi che regolano la selezione naturale. Come nelle donne, anche le scimpanzé ugandesi (parte del gruppo di riferimento per lo studio) hanno livelli ormonali che cambiano a seconda delle fasi della vita, indicando lo stato di menopausa intorno ai 50 anni, vivendo poi ancora a lungo, senza riprodursi. Se per alcune specie, compresa la nostra, la spiegazione più condivisa è davvero l’“ipotesi della nonna”, che faciliterebbe la sopravvivenza della discendenza attraverso la cosiddetta “selezione parentale”, per le scimpanzé questa teoria sembra non funzionare, sia perché i ricercatori non hanno visto esempi di collaborazione significativi per sostenere questa lettura, sia perché i piccoli di scimpanzé sono fin da subito abbastanza autonomi. Le possibili spiegazioni sono diverse e dipendono anche dal fatto che il gruppo ugandese di Ngogo vive in condizioni molto particolari e bisognerebbe per prima cosa capire se la loro vita sia di fatto simile a quella di altri scimpanzé che non hanno un contatto così prolungato con i ricercatori, tale da creare condizioni evolutive diverse da quelle standard (in termini di predatori, virus, etc.). Gli studi dovranno essere integrati da ulteriori elementi, ma intanto possono darci qualche indicazione anche su questa particolare fase della vita che interessa le femmine di specie umana. 

La menopausa non è una condanna, che deve imporre una resistenza al cambiamento o significare per forza una medicalizzazione eccessiva che alimenta lo stigma di non parlarne mai abbastanza apertamente e di non poter accettare con serenità una tappa di un percorso che appartiene a tutte. E proprio in questa comunità possiamo trovare un sostegno nell’affrontare un cambiamento che sì impone delle modifiche, ma che può trasformarsi anche in occasione per contribuire all’evoluzione consapevole, oltre che della specie, anche della propria capacità di resilienza.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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