L’America latina si tinge di rosa e giallo

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Il ciclista colombiano Egan Bernal e l’ecuadoriano Richard Carapaz hanno due cose bellissime in comune: hanno fatto la storia nei loro rispettivi Paesi per diventare campioni nel 2019 delle due più grandi corse a tappe del ciclismo mondiale, il Tour de France il primo e il Giro d’Italia il secondo. Egan Bernal, lo scorso 29 di Luglio, è diventato il primo sudamericano a vincere la Grand Boucle francese, alla tenera età di 22 anni, mettendo fine al dominio europeo, dopo che altri campioni suoi connazionali del calibro di Nairo Quintana e Rigoberto Uran ci avevano provato negli ultimi anni. Richard Carapaz, d’altro canto, è stato autore di un’impresa epica che il 2 Giugno 2019 l’ha visto salire sul gradino più alto del podio della 102esima edizione del Giro d’Italia, davanti al nostro Vincenzo Nibali, autoproclamandosi primo esponente di un ciclismo ecuadoriano che sta assumendo una dimensione sempre più internazionale.

Non solo magnifiche prestazioni sportive, le gesta di Bernal e Carapaz vanno oltre il risultato tecnico. Hanno fatto scalpore le foto di un bambino di Zipaquirà, città natale del corridore colombiano, che, di fronte al maxischermo installato nella piazza centrale, scoppia in un pianto di gioia alla vista di Egan Bernal che indossa la maglia gialla e oltrepassa il traguardo della 20esima e ultima tappa del Tour, cosí sancendo la sua clamorosa vittoria finale. “Sono molto orgoglioso di essere colombiano. Questa vittoria non è solo mia, è di tutto il Paese e per me è un grande onore ottenerla” dichiarava Bernal al concludersi l’ultima tappa. Ed è vero: la nazione si è fermata per ammirare il bagno d’oro del ciclista, considerata una conquista di tutti. In piazza c’erano migliaia di persone ad assistere alla sua consacrazione, molti erano bambini, con tanto di tutina da corridori, intenti a eseguire le prime pedalate montando una bici. 

Per molti giovani colombiani quest’evento ha generato un cambiamento nella psiche, uno spostamento nel loro mirino emotivo, nella bussola dei loro punti di riferimento. Se fino a prima per tanti di loro, specialmente di estrazione mediamente povera, gli eroi erano uomini che portavano il fucile e si facevano rispettare, adesso in quel posto c’è un ragazzo, poco più adulto di loro, che sale e scende dalle montagne in bicicletta e col sorriso. E saranno sempre di più coloro disposti a fare sacrifici per imitare il loro idolo. Questo è il miracolo dello sport, motore di condivisione, coadiuvante di culture ed etnie diverse, catalizzatore di valori e principi come la solidarietà, l’amicizia, l’umiltà, il rispetto dell’avversario, etc. Da queste parti il ciclismo si è bardato di un significato e un potere più profondi, che potrebbero convincere padri e madri di famiglia a comprare una bicicletta ai loro figli, con cui muoversi e allenarsi, probabilmente emulando il loro nuovo eroe. Invece di sperare che vengano arruolati chissà dove, indurli a desiderare il solito lavoro da soldato corrotto, o a rimpinguare le tasche di coloro che gestiscono traffici illeciti. 

In Ecuador non è stata da meno la “Locomotiva del Carchi”, nome affettuoso appioppato a Carapaz dal telecronista ufficiale latinoamericano del Giro, per e sue origini, e per andare forte come un treno in salita. Il 26enne di El Carmelo, paesino di confine con la Colombia del cantone di Tulcàn, ha fatto emozionare, sognare e infine celebrare una nazione intera per uno sport che finora, in Ecuador, godeva di poca fama, risucchiato totalmente dalle peripezie del calcio, che, come si sa, in tutto il Sudamerica regna sovrano. I meriti di Carapaz non sono pochi. Pioniere del movimento ciclistico ecuadoriano, non ha mai perso occasione di invitare e incitare giovani della sua terra a partecipare alla sport, dato anche il potenziale vantaggio di allenarsi ad altitudini vicine ai 3.000 metri. Nato in una famiglia di modeste disponibilità, è cresciuto aiutando i genitori e la sorella nella coltivazione di un piccolo appezzamento di terra e nell’allevamento di alcuni maiali e una mucca da latte. Già all’età di 4 anni, momento in cui il papà gli regala la prima bicicletta, dimostra una predilezione per le due ruote, sfrecciando di qua e di là attraverso i verdi campi di patate della zona. Il cammino di successi inanellati dal ciclita ecuatoriano sono parecchi per la giovane età, e sono lì a decorare le quattro mura dove vive la famiglia Carapaz, che durante il mese di Maggio si alzava presto ogni giorno per non perdere un minuto di diretta del Giro.

Un cammino che l’ha condotto sul tetto del mondo del ciclismo, a voler testimoniare a tutti i giovani ecuadoriani che grazie allo sport si puó davvero arrivare lontano.Una televisione locale, un’impresa telefonica e le autorità locali del Carchi hanno reso possibile ai genitori, moglie e figlie (che non possedevano né passaporto né visto per entrare in Italia) di prendere un aereo e assistere personalmente alla vittoria di Richie all’arena di Verona. L’amico di Tulcàn Jorge Montenegro, che dirige la scuola di ciclismo intitolata a suo nome, racconta che, nonostante la risonanza del suo successo in tutto il Paese, Richard ha mantenuto umiltà e perseveranza: “gli piace allenarsi con i suoi compagni di sempre, spesso attraversa la frontiera con la Colombia, dove si beve i “tinticos” (tazze di caffè) e ama salire sul vulcano Chiles in Ecuador, a oltre 4.700 metri. Lassù incontra un ecosistema di terre desolate, dove si arriva a climi molti rigidi, con temperature sotto i zero gradi. Se piove – fenomeno tutt’altro che raro - a Richard piace ancora di più; ecco perché nei giorni piovosi al Giro la gente diceva che Richard se la passasse ridendo continuamente". Sorride Montenegro mentre parla dal velodromo di Tulcàn, dove sempre più ragazzi si avvicinano al ciclismo agonistico, svincolandosi dalle distrazioni di un cellulare, da attività oziose e comportamenti pigri, dalla microcriminalità, o più spesso da un lavoro familiare al quale sono obbligati.

“Vincere un Giro è come vincere una Champions League” cita un cartellone pubblicitario locale. Forse non si eguaglieranno in quanto a premio in denaro, ma sicuramente lo sport, vero e genuino, da questo lato dell’oceano ha la forza di attivare e unire il cuore pulsante di tutta una nazione, che finalmente ha un nuovo modello a cui ispirarsi. Questo vale ancora di più quando la popolazione di quella nazione è giovane e tempestata di sogni nel cassetto. L’importante è che gli vengano suggeriti i giusti sogni.

Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.

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