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Acli: un’ “Opa etica” su mercati, banche e multinazionali
Codici di condotta
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Riuniti nella capitale francese per il terzo congresso della Federazione delle Acli Internazionali, i delegati della Fai, in rappresentanza di 18 Paesi nel mondo dov’è radicata la presenza dei nostri connazionali, non si sono limitati ad eleggere la nuova assemblea generale (che ha confermato alla guida della Federazione Andrea Olivero, presidente Acli italiane), ma hanno voluto proporre una questione di grande rilevanza sociale attraverso un confronto sugli effetti sociali in Europa della crisi economica internazionale.
E così, nell’anno dedicato alla lotta contro la povertà e l'esclusione sociale che rischia di chiudersi con il paradossale aumento dei poveri (da 79 a 84 milioni) a Parigi s’è parlato di “Povertà e impoverimento in Europa tra crisi economica e soggetti sociali” (.pdf) in un articolato seminario promosso oltre che dalle Acli anche dal Centro Europeo per i problemi dei lavoratori (Eza) e della Commissione Europea con la presenza di Jacques Delors, già presidente della stessa Commissione stessa.
Per le Acli, la gravità e le conseguenze della crisi sono state l’occasione per sostenere la necessità di costruire con urgenza una “rete di protezione europea contro la povertà”. In un documento di scenario (.pdf) predisposto per il dibattito hanno chiesto una specifica “direttiva comunitaria sui servizi alla persona”, per armonizzare “sia le condizioni di erogazione dei servizi sociali nei vari Stati membri, sia lo statuto degli operatori sociali”.
Ma non solo. La dove il welfare non arriva “occorre creare - ha spiegato Andrea Oliviero - una copertura assicurativa per il palese rischio di mancanza di autonomia” di un numero sempre maggiore di cittadini. L’inserimento in tutti i sistemi nazionali di questo tipo di assicurazione, che già esiste in Germania e Lussemburgo, se generalizzata a livello comunitario, consentirebbe per esempio di fronteggiare i fenomeni dell’invecchiamento della popolazione e dei bisogni specifici della terza e quarta età, come la non autosufficienza e malattie come l’Alzheimer od il Parkinson. Ma il problema non si limita agli anziani.
Occorre agire infatti e farlo presto, perché i numeri non lasciano dubbi quanto all’urgenza del tema. Le stime dell’Unione europea, riprese anche dal documento della Coalizione Italiana contro le Povertà (.pdf) parlano di 84 milioni di persone a rischio povertà nell’Unione, il 16% dell’intera popolazione. Una percentuale che aumenta per alcuni gruppi specifici. I bambini a rischio povertà sono ben 19 milioni (il 19% di tutti i bambini dell’Ue). Stessa percentuale per gli anziani. Le donne (17%) e soprattutto le donne single (25%) sono più colpite rispetto agli uomini (15%). Le famiglie monoparentali rappresentano anch’esse un gruppo particolarmente esposto con il 32% del totale a rischio di povertà.
Ma il problema colpisce ovviamente e innanzitutto i disoccupati (41%), anche se un lavoro non costituisce sempre una solida garanzia contro la povertà. Sono sempre di più, infatti, le persone che, pur avendo un lavoro retribuito, vanno ad ingrossare le fila dei lavoratori poveri, che costituiscono ormai ben l’8% di tutti i lavoratori dell’Unione europea. “L’ambizione del Trattato di Lisbona non ci ha dato un’Europa meno povera – ha continuato Olivero - e se non si agisce contemporaneamente sui meccanismi del mercato e sulle disuguaglianze sociali non raggiungeremo mai l’obiettivo di ridurre la povertà del 25% entro il 2020”.
La paura della povertà è per le Acli anche il “maggior rischio per la coesione dell’Europa”. Una ricerca realizzata dalle Associazioni Cristiane (.pdf) fotografa la percezione della crisi tra gli italiani residenti in Europa (10.000 questionari distribuiti tra Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Lussemburgo, Olanda, Svizzera). Più di una persona su due (54%) si colloca in una situazione di “fragilità sociale”. Si tratta in prevalenza persone sole, single, separati, divorziati e vedovi, che aggiungono dunque a quella sociale una fragilità di tipo “relazionale”. Preoccupante anche la percentuale del campione costretta a ridurre l’acquisto di beni essenziali (12%), ovvero le spese relative a cibo e spese mediche. Percentuale che sale al 17% tra i “socialmente fragili”. Decisamente negativa, infine, l’opinione degli intervistati sugli interventi anticrisi e le misure di contrasto alla povertà attuate dalle istituzioni pubbliche.
“La crisi internazionale – ha sottolineato Olivero – costringe a ripensare le forme di tutela e inclusione sociale, ma anche l’economia di mercato e il modello di sviluppo”. E rilancia: “occorre riportare l’etica nell’economia, lanciare una Opa etica nel mondo dei mercati, delle banche, delle multinazionali. Il primato va dato alla persona, altrimenti rimarremo imprigionati in un meccanismo perverso, che si fonda sull’accumulo e la competizione, piuttosto che sul benessere e la ricerca della felicità”. E a riconoscerlo è lo stesso Ocse, che dichiara di essere alla ricerca di indicatori che possano dare un’idea della qualità della vita dei cittadini senza scomodare solo e soltanto il “parziale” PIL.