Birmania: Amnesty chiede il rilascio di Aung San Suu Kyi

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Nel giorno in cui le Nazioni Unite celebrano il loro 62° anniversario, Daw Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia, è entrata nel suo 12° anno di arresti domiciliari. In questa occasione, Amnesty International ha nuovamente chiesto al governo di Myanmar/Birmania di rilasciare immediatamente le migliaia di persone arrestate per aver preso parte alle più recenti manifestazioni pacifiche, così come tutti i prigionieri di coscienza in carcere da anni, tra cui la stessa Daw Aung San Suu Kyi.

"La premio Nobel per la pace è il simbolo della resistenza politica di Myanmar: il suo rilascio rappresenterebbe un importante segnale positivo" - ha dichiarato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. "La comunità internazionale deve continuare a fare pressioni sulle autorità di Myanmar affinché producano azioni concrete e risultati tangibili, come il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza. Questo provvedimento sarebbe un elemento di valutazione cruciale per stabilire quanto la giunta militare sia seria quando afferma di voler collaborare con le Nazioni Unite".

Le detenzioni in carceri segrete, le numerosissime denunce di maltrattamenti e torture, le condanne emesse al termine di processi farsa celebrati all'interno delle prigioni hanno finora reso ridicole le promesse di collaborazione con l'Onu. Lo stesso Consiglio di sicurezza ha sollecitato il governo di Myanmar a rilasciare tutti i prigionieri politici. "Il miglioramento della situazione dei diritti umani non può attendere la conclusione di una fase di negoziato politico. Le autorità di Myanmar devono rilasciare immediatamente tutti i prigionieri di coscienza, consentire l'ingresso nelle carceri a osservatori indipendenti e cessare di emettere condanne nei confronti di chi ha soltanto preso parte a manifestazioni pacifiche" - ha aggiunto Khan.

Nelle scorse settimane Amnesty International ha diffuso una serie di nuove testimonianze audio e video sulla repressione che era in corso in Myanmar, fatta di raid notturni, arresti arbitrari e terribili condizioni di prigionia. Tra le testimonianze figurano quelle di due importanti attivisti, poi arrestati. Le dichiarazioni registrate da Amnesty International provengono dall'interno di Myanmar e dalla Thailandia, dove sono stati costretti a fuggire numerosi birmani. "Ci hanno raccontato di irruzioni notturne, di persone prese in ostaggio, di manifestanti gettati in centri di detenzione sovraffollati e insalubri. Altro che il ritorno alla normalità, proclamato dalle autorità di Myanmar. Gli stessi arresti degli ultimi giorni contraddicono quanto sostenuto dal governo, secondo il quale non ci sarebbero prigionieri politici" - ha detto Catherine Baber, direttrice del Programma Asia-Pacifico di Amnesty International.

Le violazioni dei diritti umani a Myanmar erano massicce e sistematiche già prima della repressione delle manifestazioni di agosto e settembre. Amnesty International denuncia da anni la prolungata detenzione, in condizioni deplorevoli, di oltre 1150 prigionieri politici, i continui arresti di figure di primo piano dell'opposizione, le esecuzioni extragiudiziali, l'amplissimo uso della tortura, la repressione della libertà d'espressione, il ricorso ai lavori forzati e l'impiego dei bambini e delle bambine soldato. Le operazioni militari nell'est dello Stato di Kayin (Karen) hanno compreso attacchi contro la popolazione civile che costituiscono violazioni del diritto umanitario e dei diritti umani, tali da configurarsi come crimini contro l'umanità. L'accesso di osservatori indipendenti e di organizzazioni internazionali per i diritti umani continua a essere vietato in molte parti del paese.

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