Arabia Saudita: ogni settimana due esecuzioni per decapitazione

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"Le autorità dell'Arabia Saudita mettono a morte, in media, più di due persone a settimana. Quasi la metà delle esecuzioni (e si tratta di una percentuale sproporzionata in rapporto alla popolazione locale) riguarda cittadini stranieri provenienti da paesi poveri e in via di sviluppo". E' la denuncia di un nuovo rapporto diffuso oggi da Amnesty International.

"Avevamo auspicato che le iniziative in materia di diritti umani che il governo saudita si era vantato di avere introdotto negli ultimi anni, avrebbero potuto mettere fine a tutto questo o almeno determinare una significativa riduzione nell'uso della pena di morte. Invece, abbiamo assistito a un forte aumento delle esecuzioni, che hanno luogo al termine di processi segreti e ampiamente iniqui. Una moratoria sulle esecuzioni è più urgente che mai" - dichiara Malcolm Smart, Direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Nel 2007 le esecuzioni sono state almeno 158, contro le 39 registrate da Amnesty International l'anno prima. Per quanto riguarda il 2008, al 31 agosto il totale era arrivato già a 71. Si teme una nuova ondata di esecuzioni nelle prossime settimane, dopo la fine del mese sacro del Ramadan. "Il continuo ricorso alla pena di morte da parte delle autorità saudite, si pone in contrasto con la crescente tendenza mondiale verso l'abolizione" - ha proseguito Smart. "Per di più, la pena di morte in Arabia Saudita è applicata in modo sproporzionato e discriminatorio nei confronti di persone povere, tanto lavoratori stranieri quanto cittadini sauditi che non hanno relazioni familiari o altre conoscenze che potrebbero salvarli dall'esecuzione".

Troppo spesso gli imputati, soprattutto lavoratori migranti provenienti da paesi in via di sviluppo dell'Africa e dell'Asia, non hanno un avvocato e non sono in grado di seguire i procedimenti giudiziari che si svolgono in lingua araba. Sia loro che i sauditi messi a morte non hanno denaro né rapporti con persone influenti che potrebbero intervenire in loro favore, come autorità di governo e capi tribù, circostanze entrambe decisive per ottenere la grazia. "Le procedure al termine delle quali viene inflitta una condanna a morte sono assai dure, quasi completamente segrete e ampiamente inique. I giudici, tutti uomini, hanno un vasto potere discrezionale e possono emettere una sentenza capitale anche per reati non violenti definiti in modo del tutto generico nelle leggi. Alcuni lavoratori migranti sono rimasti all'oscuro della propria condanna a morte fino alla mattina stessa dell'esecuzione" - ha sottolineato Smart.

Le esecuzioni avvengono generalmente in pubblico, mediante decapitazione. In caso di rapina con omicidio della vittima, il corpo del condannato viene crocifisso dopo l'esecuzione. L'Arabia Saudita è uno dei pochi paesi del mondo a mantenere un alto tasso di esecuzione di donne e a mettere a morte, in violazione del diritto internazionale, persone minorenni al momento del reato.

"È davvero giunto il momento che l'Arabia Saudita affronti il problema della pena di morte e rispetti gli obblighi derivanti dal diritto internazionale. Come membro eletto del Consiglio Onu dei diritti umani, il governo deve fare marcia indietro e rendere conformi agli standard internazionali le proprie procedure legali e giudiziarie, vietare la pena di morte per i minorenni, garantire processi equi, prendere misure per porre fine alla discriminazione e ridimensionare i poteri discrezionali dei giudici nell'uso di questa pena crudele, inumana e degradante" - ha concluso il Direttore del Programma Medio Oriente di Amnesty International.

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