Indagine Eurispes-Enpam sull’alcol: in Italia 435 mila vittime in dieci anni

Stampa

L’alcol è la sostanza psicotropa che miete più vittime. Più del fumo, più delle droghe sintetiche e più della cocaina. E più di tutte queste, crea dipendenza. Ad affermarlo, l’Indagine sull’alcol realizzata da Eurispes in collaborazione con l’Enpam, l’Ente nazionale di assistenza e previdenza dei medici, secondo cui i morti causati dall’alcol in Italia dal 2008 al 2017 sono 435 mila. “Immaginiamo una città un po’ più grande di Firenze e Bologna e un po’ meno di Genova, che, nell’arco di appena dieci anni, perda completamente tutta la sua popolazione, scomparendo” si legge nel magazine dell’istituto di ricerca. Si tratta per l’esattezza di 435 mila decessi per malattie alcol-correlate, incidenti stradali, incidenti sul lavoro, incidenti domestici e omicidi e suicidi legati allo stato di alterazione psicofisica: 296.500 riguardano gli uomini e 139 mila le donne. La ricerca ha analizzato il fenomeno attraverso tre diverse indagini campionarie, ciascuna delle quali disegna un quadro completo di come sono cambiate e stanno cambiando le abitudini “del bere” nel nostro Paese, di quanto sia diffuso e radicato il fenomeno tra i giovani, di come si è modificata l’immagine del consumatore, anche e soprattutto come conseguenza dei messaggi trasmessi dai media. Tracciando il quadro di una tendenza che sembra essere in ascesa: si beve ovunque, a qualunque ora, sempre più lontano dai pasti e soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione: “Il ‘debutto’ alcolico arriva in età sempre più precoce” si legge, con il primo bicchiere che, per oltre la metà dei giovani, è stato bevuto tra gli 11 e i 14 anni.

Secondo la ricerca, infatti, la maggioranza netta dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni beve alcolici: oltre la metà lo fa “qualche volta” (51,6%), l’8,2% “spesso”. In particolare, tra i 15-19enni la percentuale di chi beve “qualche volta” sale al 65% e solo due su dieci sono astemi. Un terzo degli intervistati ha giocato con gli amici a chi beve di più (33,1%) e una identica percentuale rivela di aver visto un amico o un conoscente riprendersi o farsi riprendere in videon mentre beveva. Per i giovanissimi, è la birra la bevanda alcolica preferita, seguono il vino, poi shottini e superalcolici. I ragazzi bevono soprattutto fuori casa, e il consumo si caratterizza come indipendente dal pasto e legato a momenti di divertimento e allo “sballo”: il 28,6% beve al pub, il 21,4% in discoteca, solo due su dieci bevono a tavola. “Insomma, il drink alcolico è considerato una sorta di “rito di passaggio sociale” che caratterizza la fine dell’infanzia. E il tradizionale divario tra i due sessi risulta oggi assai più contenuto rispetto al passato”. L’indagine fa emergere poi un aspetto sconcertante: oltre la metà dei minori ha acquistato alcolici, nonostante la legge italiana lo vieti e obblighi il venditore a chiedere un documento d’identità. Di questi, oltre un quinto dichiara che non gli è stato mai chiesto il documento al momento dell’acquisto. Cruciale è poi il problema del rapporto tra alcol e guida. In Italia, l’uso di sostanze alcoliche è tra le prime cause di morte tra i giovanissimi, spesso in seguito a incidenti stradali. Il 40% degli intervistati maggiorenni ammette di essersi messo alla guida dopo aver bevuto in modo eccessivo, a cui si aggiunge un decimo dei giovanissimi. Inoltre, il 30% dei ragazzini tra gli 11 e i 14 anni dichiara di aver viaggiato su un mezzo guidato da qualcuno che avesse bevuto alcolici.

C’è da dire che, interrogati sultasso alcolemico consentito dalla legge per guidare, i due terzi degli italiani intervistati non sono stati in grado di rispondere correttamente, così come i tre quarti dei giovanissimi. E sebbene il tema dell’alcolismo venga percepito dai cittadini italiani maggiorenni come problema sociale in modo meno netto rispetto a trent’anni fa, emergono però frequenti eccessi nel consumo: alla metà degli intervistati capita di eccedere con l’alcol, anche se “qualche volta”, ovvero il 14% in più rispetto al 2010 (22°Rapporto Italia, Eurispes). Sempre secondo la ricerca, oltre sei italiani su dieci mettono l’alcol in relazione alla convivialità, al relax, al piacere e alla spensieratezza (63,4%); solo un quarto, al contrario, lo associa a concetti negativi, come la fuga dai problemi, la perdita di controllo e il pericolo (25,6%). Lo sanno bene i medici, a cui è dedicata una parte importante della ricerca: secondo loro il consumo eccessivo di alcol non appartiene infatti a nessuna particolare tipologia di paziente ma “attraversa” l’intera società. “In generale, emerge una scarsissima correlazione tra emarginazione sociale e alcolismo e, anzi, per oltre sette medici su dieci, le motivazioni di chi ha dipendenza da alcol non sono legate a problemi o disagi, ma piuttosto ad una ricerca di divertimento e di ‘sballo’– si legge –. Un approccio culturale a cui contribuirebbero in modo determinante i media con i messaggi che veicolano”. 

E lo Stato? Secondo otto italiani su dieci avrebbe fatto poco per contrastare il fenomeno dell’alcolismo. Una critica condivisa, a livello globale, anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’ultimo Global status report on alcohol and health, uscito a settembre di quest’anno. In cui si rileva come quasi tutti i paesi (95%) abbiano accise sull'alcol, ma meno della metà di loro usa altre strategie di prezzocome il divieto di vendita sottocosto o sconti sul volume. Inoltre la maggior parte dei paesi ha qualche tipo di restrizione sulla pubblicità della birra, con divieti totali più comuni per la televisione e la radio, ma meno comuni per Internet e i social media. “Nel 2016, oltre 3 milioni di persone sono morte a causa del consumo pericoloso di alcol nel mondo – ha commentato il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus – Sono troppe le persone che fanno uso di alcol, con conseguenze che ricadono inevitabilmente sulle famiglie e sull’intera comunità, attraverso la violenza, gli infortuni, i problemi di salute mentale e le malattie come il cancro e l’ictus. È ora di intensificare l'azione per prevenire questa grave minaccia allo sviluppo di società sane”.

Anna Toro

Laureata in filosofia e giornalista professionista dal 2008, divide attualmente le sue attività giornalistiche tra Unimondo (con cui collabora dal 2012) e la redazione di Osservatorio Iraq, dove si occupa di Afghanistan, Golfo, musica e Med Generation. In passato ha lavorato per diverse testate locali nella sua Sardegna, occupandosi di cronaca, con una pausa di un anno a Londra dove ha conseguito un diploma postlaurea, sempre in giornalismo. Nel 2010 si trasferisce definitivamente a Roma, città che adora, pur col suo caos e le sue contraddizioni. Proprio dalla Capitale trae la maggior parte degli spunti per i suoi articoli su Unimondo, principalmente su tematiche sociali, ambientali e di genere. 

Ultime su questo tema

Il blackout come rivelatore

12 Maggio 2025
In questi giorni tanti e tante in Spagna hanno discusso su cosa è accaduto nella giornata senza elettricità, mentre istituzioni e media cominciavano a diffondere notizie contrastanti sulle cause. S...

Milpamerica: lo spazio digitale autogestito

30 Aprile 2025
Il social network delle popolazioni indigene creato dalle attiviste di Messico e Guatemala per proteggere i territori. (Monica Pelliccia)

I frutti della collaborazione

06 Maggio 2024
Questo mese nel podcast ALTRO MODO parliamo del progetto Orto San Marco - Setàp, in cui un’impresa profit, un ente pubblico e un ente del terzo settore collaborano. 

Con tutto quello che succede!

29 Marzo 2024
In questo mondo afflitto da terrificanti conflitti, l’allegra mattanza pasquale non può essere derubricata a fatto privo di importanza, sulla scorta del mantra “con tutto quello che succede…”. Al c...

L'autosviluppo delle comunità: il vero antidoto allo sfruttamento

16 Marzo 2024
L’Obiettivo 10 dell'Agenda 2030 è incentrato sulla riduzione delle disuguaglianze ed è uno degli scopi del Gruppo Volontariato Trentino (GTV). (Alessandro Graziadei)

Video

WSA: Iniziative di educazione allo sviluppo