Tutti contro l’Isis. Nessuno per davvero

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Obama ha vinto le titubanze, il gigante russo si è mosso, la Francia ferita ha reagito. Risultati? Pochi. Perché la lotta all'Isis (quella vera) non la vuole nessuno. E per un motivo molto semplice: lo Stato Islamico conviene.

Conviene agli Usa, che intendono sfruttare la condizione di instabilità, generata dalle “Primavere arabe,” per far cadere Assad, e spezzare un asse sciita ostile che va dall'Iran al Libano degli Hezbollah. La distensione, che ha fatto seguito all’accordo sul nucleare, siglato il Luglio scorso, non ha infatti risolto le divergenze di interessi fra Washington e Teheran. Per meglio dire, non ha placato l’avversione (politica e religiosa) che intercorre fra questi ultimi e gli alleati degli statunitensi in quell’area: le Monarchie del Golfo, a maggioranza sunnita.

Conviene alle stesse Monarchie del Golfo, tra cui spiccano Arabia Saudita e Qatar, che fingono di osteggiare l'Isis (costituito anch’esso da sunniti), ma che non hanno alcuna intenzione di lasciare l’Iraq del Nord al governo di Baghdad (a maggioranza sciita), rischiando di indebolire il proprio fronte. Anche perché la contrapposizione fra le due grandi correnti teologiche dell’Islam va a tutto vantaggio di uno status quo che garantisce i Regnanti in questione da ogni possibile accenno di riforma.  

Conviene all'Iran degli Ayatollah, che può tornare a dialogare con la comunità internazionale, dopo anni di isolamento, accreditandosi come fattore regionale di stabilizzazione e come canale di contrasto alla minaccia globale del terrorismo. Grazie all’Isis, può anche sperare che l’alleato Assad, divenuto indispensabile per arginare l’avanzata delle “milizie in nero”, torni a essere un interlocutore per i partner occidentali.    

Conviene alla Russia, che usa il pretesto della lotta agli islamisti per conquistare sacche di territorio da affidare agli eredi di Assad (suoi alleati), salvaguardando i propri interessi sul suolo siriano. In primo luogo, la base navale di Tarsus: il suo unico sbocco diretto su uno snodo (tuttora importante) come il Mediterraneo.

Conviene alla Turchia, che può approfittare della presenza dell’Isis per colpire impunemente il suo vero nemico: i curdi. Il dossier “Kurdistan” figura, infatti, in testa alla lista di priorità del presidente Erdogan, che non ha esitato a strumentalizzare le tensioni con quella minoranza etnica per consolidare il suo profilo di uomo forte del Paese, cercando di ottenere una maggioranza elettorale che gli consentisse di modificare la costituzione, assumendo più ampi poteri.  

Conviene a Israele, che può sfruttare lo sfaldamento della Siria per prendersi definitivamente le alture del Golan, considerate da Tel Aviv un presidio indispensabile per prevenire eventuali attacchi contro le proprie posizioni.

Conviene persino alla Francia. Non si tratta di una tesi “complottista” ma l’attentato che ha scosso il Paese ha creato una situazione che il Governo francese cerca di “cavalcare” nel tentativo di recuperare margini per una politica estera autonoma, tornando così protagonista. Oltre ogni difficoltà politica, economica e storica.

Conviene agli altri europei: abbastanza lontani per non patire le conseguenze peggiori del conflitto, abbastanza vicini per comprare il petrolio dell'Isis a prezzo scontato.

È questo il grande concerto dell'Isis. Una rappresentazione tragica, fatta di bombardamenti contro postazioni mobili e interventi terresti rinviati o appaltati ad altri (i soliti curdi). Un terreno di scontro imprevedibile e inquietante, in cui ognuno, al di là delle dichiarazioni d’intesa, gioca la propria partita. Una sinfonia di potenze, disturbata appena da piccole e noiose stonature: le vittime innocenti. Basta che queste stonature non facciano litigare anche l’orchestra. Con esiti devastanti.

Omar Bellicini

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