Il futuro afgano: dopo l’incontro di Trento

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Giuliano Battiston e Lisa Clark - Foto: Twitter.com

150 milioni di euro in aiuti umanitari all’Afghanistan utilizzandoli come leva per spingere i Talebani a rispettare i diritti. L’apertura di una sede europea a Kabul, lo spostamento della Cooperazione italiana a Islamabad, il dibattito su come negoziare col nuovo esecutivo di Kabul – un governo senza donne e non inclusivo – ma senza riconoscerlo. Il tema del congelamento dei fondi in America. Questi in sostanza i temi principali toccati dalla Viceministra Marina Sereni, ospite ieri del Convegno “Afghanistan il futuro negato” organizzato a Trento da 45mo Parallelo e da Afgana. Il suo intervento, nella giornata coordinata da Lisa Clark di Afgana, è stata molto apprezzato perché la Viceministra, incalzata dai vari interventi, non si è sottratta ai temi più scomodi tra cui quello finanziario: l’esborso italiano (150 mln di euro di cui 120 provenienti dal finanziamento all’esercito afgano che non c’è più) ma anche l’aiuto umanitario da usare anche come leva per fare pressione sui Talebani. Un concetto sul quale Emanuele Giordana, presidente di Afgana, ha polemizzato sostenendo che l’aiuto umanitario, per sua natura, non può essere utilizzato a fini politici.

Sulla situazione del Paese si è soffermato Giovanni Visone (Intersos  / Link 2007) che ha ricordato come quasi 23 milioni di persone siano ora in grave necessità alimentare, cose che potrebbe portare a un milione di bambini morti nel giro di un anno in un “inferno in terra” come ha detto il Wfp. Lo stesso che osservano gli operatori umanitari. Il congelamento dei fondi sta strangolando il Paese, ha detto Visone, ricordando che oggi la comunità internazionale è rappresentata solo dalla comunità umanitaria. Se Katia Malatesta, del Forum Trentino per la pace, ha ricordato l’importanza di non spegnere i riflettori sull’Afghanistan, tema ripreso nelle conclusioni di Raffaele Crocco, Giuliano Battiston (Afgana) ha segnalato come sia necessaria una mappatura società civile afgana e di come si debba riconoscere che la crisi in cui versa dipende anche dal fatto che quella che conoscevamo non esiste praticamente più. Chi è rimasto, ha detto, si sente sotto tiro ma nutre anche un sentimento di rabbia perché spesso chi è stato assistito nelle evacuazioni faceva parte dei vertici e anche perché il flusso di finanziamento occidentale si è interrotto. Un tema che, sottolinea Battiston, deve far riflettere sulla debolezza di una società civile da molti giudicata eterodiretta.

Luca Lo Presti (Pangea / Aoi) ha ricordato lo scollamento tra la società civile organizzata e il Paese profondo mentre Paolo Affatato (Afgana) ha relazionato sul webinar tenuto con le associazioni che gestiranno i corridoi umanitari. La docente trentina Ester Gallo ha invece ricordato il lavoro dei i 30 membri del network di Scholars at risk che stanno mettendo a disposizione assegni di ricerca per gli afgani mentre la rete universitaria ha già ricevuto 1400 richieste di assistenza anche se solo il 13% dei richiedenti si trova fuori dal Paese. Di questi 30% sono donne...

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