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Per ridar speranza ai paesani
Riconciliazione
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Foto: M. Canapini ®
Saluto Bangkok senza rammarichi, con ancora addosso l’odore della foresta. All’alba, cupa e grigia, raggiungo Chiang Mai in un saliscendi di piste rotte; ho appuntamento con una fondazione locale che da anni fabbrica protesi per vittime di mine antiuomo. A fianco della colossale struttura, tonici combattenti si allenano al Muay Thai; i colpi riecheggiano fin sul marciapiede. Tatuaggi spiralici, da tradizione fatti per scacciare gli spiriti malvagi dell’aldilà, ricoprono i pettorali degli atleti. Alti scalini conducono all’ingresso della fabbrica, dove un esteso “museo” di gambe lignee, metalliche e siliconate, racconta più di tante parole. Le protesi, allineate o sparpagliate alla rinfusa, sono fabbricate per supportare i milioni di amputati lungo i confini nord del paese. Costruite in base allo stile di vita del malcapitato e adattate alle azioni quotidiane come pregare, zappare l’orto, guidare un’automobile, svelano le difficoltà più recondite di perdere un arto. “Le protesi prodotte in Occidente costano tre volte tanto quelle fatte in casa. Ben 25.000 amputati sono state aiutati dal 1992 a oggi, ma come nel restante del sud est asiatico (Cambogia e Vietnam in particolare) non si conosce la cifra esatta degli ordigni piazzati. Sappiamo solamente che quei piattini esplosivi potrebbero annidarsi sotto spiagge esotiche come in campi agricoli a lungo non coltivati. Trentacinque le province infette dal morbo della guerra infinita. Gli incidenti a danno di uomini e animali sono diminuiti drasticamente, anche se nuove tensioni rischiano di mietere nuove vittime. Ad esempio il conflitto latente nelle tre province a maggioranza musulmana (Narathiwat, Pattani e Yala, una striscia di terra incuneata nella penisola malese), combattuto tra Governo thai e terroristi islamici; tale scontro ha radici antiche ma si è riacceso quindici anni fa, nel gennaio 2004. Da allora ha provocato oltre 7.000 morti e 13.000 feriti, in maggioranza civili. Senza togliere poi i continui scontri nel vicino Stato Karen, un lembo di terra della Birmania Orientale affacciato oltreconfine. Quest’ultima è definita dagli esperti un conflitto a bassa intensità ma si tratta della guerra più lunga al mondo e continua a mietere vittime: profughi, morti, amputati che si riversano nei pressi di Chiang Mai.” dichiara laconico Pravat, il capo della fondazione. Sebbene gli incidenti siano diminuiti, gli operai indaffarati dei piani bassi continuano a produrre centinaia di protesi ogni mese.
Esistono tantissime tipologie diverse di mine e bombe. Tutte usate in modo bastardo. Quelle che mozzano una gamba o entrambe; quelle che rendono cieco o deforme; quelle usate per i convogli di truppe o formazioni militari in movimento; quelle sparate in rapida successione; quelle che esplodono in ritardo, (anche dopo diverse ore) così da colpire eventuali famigliari tornati sul luogo per accertarsi delle perdite. Fiancheggiamo campi minati seguendo strade sconnesse, simili ai letti secchi di fiume. Ai lati si parano i classici segnali quadrangolari col teschio affisso su sfondo rosso. Venti membri del team, assunti dalla fondazione per la bonifica della zona, masticano nervosamente semi di Betel, noce dell’areca, usata come leggero stimolante e digestivo nei paesi asiatici e non. “Le difficoltà di una rapida bonifica dipendono, oltre che dai scarsi fondi, anche dalle condizioni del territorio; pozze d’acqua, arbusti e fango paludoso non ci rendono la vita semplice. Nei 28.000 ettari limitrofi ci vivono seicento persone e sono state visualizzate ben 80.000 mine antiuomo. 6.000 frammenti di bomba ritrovati nell’ultimo mese. I primi cento ettari sono parzialmente puliti ma i locali sospettano che ci siano ancora ordigni nascosti tra le piaghe del terreno. Sebbene tutti siano a conoscenza del problema, ben dieci persone hanno perso la vita recentemente.” continua lapidario Pravat, aderendo allo schienale del fuoristrada. Le foreste selvagge sono di una bellezza inverosimile ma, a lungo andare, cresce un senso di inquietudine nel fissarle. Un’antica meraviglia rinchiusa in cupole di vetro. Come una favola che nasconde un brutto segreto.
I margini sono mondi delicati da assaporare piano. Qualche frontiera entra dentro, appiccicandosi al cuore con dolcezza. "Benvenuto in Laos, il paese più bombardato nella storia di tutte le guerre. Un B52 ogni otto minuti per nove anni". Biagio sembra essere un tipo tosto che non la vuole lunga. Nato a La Spezia, ha cominciato a lavorare come sminatore in Kosovo nel 1999 collaborando con l’associazione italiana Intersos, per poi accrescere la sua esperienza in diversi scenari di conflitto come Angola, Somalia, Congo, Sri Lanka, Afghanistan. Oggi è capo sminatore dell’associazione MAG (Mine Advisory Group), costantemente diviso tra Laos, Thailandia e Italia. “Il mio compito è prevalentemente tecnico: formazione degli operatori, procedure e norme di sicurezza, nuovi equipaggiamenti, bonifica di campi minati. In Laos sono stati sganciate 270 milioni di cluster bombs tra il 1963 ed il 1974. Per decenni hanno tenuto nascosto che questo paese, seppur marginale rispetto ai grandi scontri, è stato usato come pattumiera della guerra in Vietnam. Lungo il sentiero di Ho Chi Min migliaia di bombe affiorano dal terreno, sbucano dalla superficie come spettri carichi di morte.
In guerra sono state utilizzate anche diossine e bombe al fosforo; centinaia di contadini continuano a morire di cancro e alcune aree manifestano avvelenamento da Agente Arancio, lo stesso usato nel confinante Vietnam”. MAG tenta di insegnare ad adulti e bambini alcune manovre per non imbattersi in qualche aggeggio fatale: non bruciare arbusti senza consenso: il calore potrebbe far detonare l’ordigno nascosto. Attenzione sempre a dove si mettono i piedi; non lanciare nessun oggetto né raccogliere arnesi metallici trovati nella foresta. Non zappare mai dall’alto verso il basso, ma con cautela, spingendo la zappa delicatamente col piede, grattando la superficie. Se è necessario legare un bue o una capra ad un ramo e non puntellare nessun chiodo al terreno. Kunha, 21 anni, apparsa sull’uscio della porta, condivide sinteticamente la sua storia, straripante di ambizione e giustizia: "Sono cresciuta nel mio piccolo villaggio di capanne ed ogni giorno, passeggiando con mio padre, vedevamo bombe UXO (ordigni inesplosi) intorno alle nostre abitazioni. Mio zio, non sapendo niente a riguardo, è rimasto gravemente ferito e così ho deciso di diventare una sminatrice. So che è molto pericoloso ma la paura blocca la nostra comunità… qualcuno deve pur farlo. La prima volta ero molto nervosa ed eccitata, ora so benissimo come devo muovermi per ridar speranza ai paesani”. Mentre la cuspide decorata di un Chedi brilla nell’astro lucente, penso che gli addii rodano l’animo del pellegrino.
Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).