Il soldato perfetto

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Foto: M. Canapini ®

Sono in Cambogia. Emigro verso Siem Reap seguendo una striscia di terra pensata come autostrada. D’un tratto tutto si colora di rosso: i baldacchini, i bambini nudi che corrono nei cortili, i campi d’erba fresca. Il paesaggio appare come dipinto. Gli amputati, tanti, si trascinano sopra una vecchia protesi o una stampella disfatta. Nelle zone rurali distanti dalle giostre turistiche (così come in Mozambico, Thailandia, Angola e Vietnam), l’associazione Apopo (ideata dal belga Bart Weetjens) bonifica i terreni minati grazie all’aiuto di ratti giganti importati della Tanzania. “I roditori hanno diversi vantaggi rispetto ai cani: nutrirli è sicuramente più economico, trasportali ovviamente più facile. I ratti inoltre sono molto sensitivi, hanno un olfatto raffinato e riducono l’impatto col terreno non scavando a fondo (così facendo rischierebbero di saltare in aria come accade ai cani) ma solo grattando la superficie. L’associazione usa anche altri strumenti come scavatori o metal detector ma i veri eroi rimangono senza dubbio i possenti ratti” racconta Phirun, accompagnatore e operatore dell’associazione. 

Mine: il passato presente che uccide il futuro, come direbbe Emergency. “In Cambogia si contano milioni di ordigni inesplosi, dal confine est all’ovest. Prevalentemente mine antiuomo, ma anche uxo o cluster bombs. Anche ditte private lavorano alla bonifica ma gli incidenti sono tanti e frequenti”. L’allenamento giornaliero dei roditori consiste nel muoversi in uno spazio di sei metri per venti. Orizzontalmente sono poste dalle due alle quattro mine. L’animale, in questo caso Cletus, quando fiuta il TNT si blocca e scava leggermente in direzione dell’ordigno. L’istruttore lo richiama a sé con un click, premiandolo con biscotti o banane. Qualche ratto ozia nelle gabbie cullato dai croccantini: Maynard, Zaganza, Merry, Janthina, inconsapevoli del loro prodigio. Lasciamo il campo d’addestramento dopo pranzo, dirigendoci in vaste foreste lontane dalla civiltà. Il gippone procede nella pianura mangiando sassolini e terriccio. Moch Ban ha le mani grandi da contadino, tipiche di chi lavora la terra e si guadagna la pagnotta col sudore della fronte. In un giorno afoso del lontano 2002 stava tagliando delle canne di bambù in una foresta a dieci minuti dal suo villaggio. Accidentalmente ha pestato una mina antiuomo e la gamba sinistra è stata tranciata via ad altezza ginocchio. “Ricominciare a vivere è stato difficile, cosi come camminare, coltivare l'orto e sostenere la mia famiglia. L’unica fondazione che ci riforniva di protesi e assistenza ha chiuso per mancanza di fondi… siamo stati abbandonati. Ho tre figli e siamo molto preoccupati per loro... tentiamo ogni giorno di tenerli lontani da quei campi maledetti ma è come impedirgli di giocare: impossibile" afferma l’uomo, esprimendosi in gergo dialettale. Gli anziani dalla testa rasata guardano storto, i pochi ragazzini radunati attorno a Phirun riprendono la visita coi cellulari. La comunità tutta, compresa la mamma settantenne di Moch Ban, chiede a gran voce la bonifica delle paludi circostanti ma soprattutto maggior assistenza alle vittime: passate, presenti e per Dio anche future.

“Qui dietro è pieno di foreste minate. Stavo raccogliendo delle noci di cocco quando ho perso la mia gamba destra. Correva l’anno del cavallo, forse il 1999. Mio marito mi ha portato in spalla fino all’ospedale più vicino, poi, per via della menomazione se né andato senza lasciare traccia. Da quel momento sono rimasta sola assieme a mio nipote Oey Sam Nang. Non ho sentito più esplosioni ma so anche che nessuno si è più avvicinato a quel mucchio di palme”. Moern Ley ha 48 anni ma ne dimostra minimo 65. Mente quando racconta che nessuno mette più piede al di là dello steccato. Ogni giorno, trascinandosi sulla protesi in silicone continua ad andare nella foresta per strappare canne di bambù e costruire cesti in vimine con cui sostenere il nipote. Non ha scelta, se non la fame. Molti bambini come Oey Sam Nang, non frequentando la scuola, inoltre e tuttora, non sanno cosa siano le mine antiuomo, anticarro, uxo o cluster bombsSpesso emergono dai campi con pezzi metallici nelle mani, ci giocano, li tamburellano con rametti secchi, li lanciano in aria. A volte va bene, altre volte invece la quiete di questi villaggi viene squarciata via da un secco e sonoro BOOM. Il motivo si conosce, ma si spera comunque che la vittima, grande o piccola che sia, abbia perso "solo" una gamba e non la vita, perché lo scopo di queste mine, al contrario di altre, è amputare, non uccidere. Un morto lo si piange, un amputato lo si assiste. Che sia con stampelle, medicinali o protesi non fa differenza. Il comune denominatore sono i soldi che intasca la macchina del fango. La resa al mercato.

Yut Yuth firma una liberatoria con una x, sbavando il foglio di saliva e ditate nere. Il “contatto” è avvenuto nel 1995, a due passi da casa. Nell’esplosione Yut ha perso i sensi ed il fratello l’ha caricata di peso su un camion. Ha trascorso quattro mesi in ospedale per la riabilitazione, poi rispedita nel suo villaggio senza nemmeno un arto artificiale come appoggio. Gli ultimi dieci anni la donna è sopravvissuta trascinandosi sulle assi di legno coi gomiti. La fondazione Handicap International, solamente l’anno scorso, si è attivata per donarle una protesi adatta alla tipologia di mancanza. I gomiti, ancora neri e tumidi, rimangono la prova dell’incuria umana. Stessa sorte per Seng Ejch, “colpevole” di aver pestato un ordigno particolarmente esplosivo, perdendo la gamba sinistra fino a metà coscia. Nessuna protesi adatta per il danno subito, cosi negli ultimi tempi ha imparato a saltellare e spostarsi su un piede grazie all’aiuto di un bastone. Anch’essa ha visto svanire il miraggio di una vita tutto sommato normale, in un agosto afoso del 2011, mentre faceva pascolare il gregge sul letto basso di un fiume. Una mina sotterranea portata a valle dalla corrente? Abbandonata dal marito ma non dalla madre, oggi Seng Ejch cucina del riso con zafferano, dandoci il benvenuto nel suo microcosmo con un largo sorriso che vale il senso indiscusso di rivincita. Alle porte di Angkor Wat una donna si ripara dalla pioggia inarrestabile con un’enorme foglia selvatica di gunnera, evitando le scimmie irriverenti a caccia di turisti.Nel più grande monumento religioso al mondo, i guerrieri tribali in pietra hanno perso la testa. “I contrabbandieri tentano mensilmente di vendere i testoni in qualche mercato nero della vicina Thailandia” mi dirà in serata il fidato Phirun. 

Diari estrapolati dal libro “Eurasia Express-cronache dai margini” (Prospero Editore

Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).

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