www.unimondo.org/Guide/Guerra-e-Pace/Riconciliazione/Noroc-salute!-202294
Noroc: salute!
Riconciliazione
Stampa

Foto: Matthias Canapini ®
Istanbul. Immensa. Moschee, filobus, turisti e guide. Blocchi di cemento con su scritto FREE GAZA decorano a intermittenza il marciapiede gonfio di gente. Dai finestrini del Bosfor Express, un treno notturno che collega Istanbul, la porta d’oriente, a Bucarest, capitale cosmopolita della Romania, osservo un mondo arcaico che palpita tra rocce e catapecchie. Corneliu, un sessant’enne di ritorno a casa, racconta ciò che è stato, nella luce tiepida del vagone. “Ceaușescu bramava una nazione forte, popolosa, con una capitale bella e all’avanguardia. Volendo aumentare il tasso di nascita, nel 1966 promulgò una legge che limitava il ricorso all'aborto e alla contraccezione, proibendo anche i test per l’HIV: solo le donne con più di quarant’anni e con almeno quattro figli potevano usufruirne. Assicurava sprezzante che l’Aids non riguardava il popolo rumeno ma era una malattia occidentale. Con occidente intendeva l’Europa.
Negli anni ottanta in Romania migliaia di bambini si ammalarono per le frequenti trasfusioni, usate non solo per ragioni mediche ma anche come <<ricostituente>> mirato ai minori anemici e denutriti. Dal 1985 l'Aids contaminò anche le forniture di sangue soprattutto nelle aree portuali come Galati, Costanza e Giurgiu. Dopo la morte del dittatore il mondo scoprì i piccoli romeni malati e i terribili orfanotrofi nei quali erano costretti a vivere. All’epoca si parlava di 300.000 bambini abbandonati di cui 30.000 affetti da HIV. Lo scandalo e l’indignazione fece pervenire in Romania una portata gigantesca di aiuti, soldi e campagne benefiche. Ma ben presto si alzò un muro di omertà e solo negli ultimi anni le cinque principali compagnie farmaceutiche che operano nel paese, sollecitate più volte, hanno realizzato qualche programma sperimentale di cure”.
Bucarest, la Parigi dell’est. Dicono che circa tre milioni di Lei (moneta locale) al giorno entrano nelle casse della capitale rumena grazie anche e soprattutto al turismo sessuale. Io e Corneliu chiacchieriamo di questo e poco altro, salutandoci dinnanzi alle mastodontiche colonne della stazione ferroviaria Gare du Nord. Nel parchetto di fronte l’edificio sovietico una ragazzina mi blocca la strada. Offre del sesso orale per dieci miseri Lei. Le mancano i due incisivi superiori; ha lo sguardo vacuo. La vedo scomparire dentro un tombino rotondo. Nei primi anni novanta sono i bambini a pagare il prezzo più alto della crisi in Romania. In tanti vengono abbandonati dalle famiglie, altri scappano da casa o dagli orfanotrofi. Solo a Bucarest se ne contano a migliaia. Non hanno un tetto, non frequentano la scuola, vivono di espedienti. Non sono invisibili, ma nessuno li vede. Per non sentire la fame sniffano colla, un solvente di vernice reperibile a pochi centesimi in ogni ferramenta. I bambini, soprattutto d’inverno, cercano riparo nei canali sotterranei dove circolano i tubi dell’acqua calda. Nel 1992 Miloud Oukili, un giovane clown franco-algerino arriva in città. Viene profondamente colpito dalle storie e dalle condizioni in cui vivono i piccoli e si deciderà in poco tempo a fare qualcosa. Innanzitutto guadagna la loro fiducia, li ascolta, li tratta come amici e tramite l’insegnamento dell’arte circense cerca di dare una chance, un futuro a centinaia di essi.
Nel 1996 Miloud crea, con non pochi problemi, l’associazione Parada, la quale diverrà una ONG riconosciuta dalle Istituzioni locali come utile e necessaria. L’obiettivo di Parada è aiutare i bambini tramite azioni di prevenzione, recupero, assistenza e reintegrazione sociale, inserendosi nelle fasi di sviluppo del paese. Conosco Sergio, operatore di Parada Italia Onlus, in cima alle scalinate della metropolitana ovest. “L’associazione nasce nel gennaio 2006, dall’evoluzione della campagna <<Un naso rosso contro l’indifferenza>>. L’obiettivo di Parada Italia è volta ad offrire sostegno e strumenti d’intervento per garantire un futuro al maggior numero di bambini. Le attività sono molteplici: tournée e spettacoli, formazione ed educazione allo sviluppo, esperienze artistiche residenziali, interventi sociali mirati sul territorio italiano a favore di giovani stranieri emarginati. Ogni anno circa venti città, cento scuole, centocinquanta famiglie e ottomila persone in Italia vengono coinvolte nel nostro progetto. Nel corso di questi ultimi anni molti giovani sono riusciti a lasciare la strada, i canali, le fogne, riprendendo a studiare o lavorare, guardando al futuro con speranza e non con rassegnazione.
A partire dal 1984, a seguito della miseria stagnante, il popolo romeno cominciò ad abbandonare i propri figli per strada o a rinchiuderli in orfanotrofi. Strutture gonfie di bambini lasciati soli. Molti scappavano e si univano ad altri gruppi trovando rifugio nei canali per via delle calde tubature o in palazzi pericolanti situati nel centro città e denominati BLOC. In estate invece dormono nei parchi pubblici. Sono quasi trent’anni che il problema va avanti. La prima generazione di bambini che sono cresciuti per strada ora hanno circa trenta o trentacinque anni. A loro volta hanno avuto bambini quindi è facile trovare un adulto con figli e magari nipoti al seguito. Lavoro da un paio d’anni con Parada ma è come se ci fossi dentro da una vita. È una di quelle realtà che ti entrano dentro e ti colpiscono forte. I ragazzi, la loro vitalità. Sono arrivato a Bucarest senza sapere esattamente dove sarei finito. Mi ritrovo tutti i giorni a inseguire un naso rosso che vuol dire rispetto e integrazione. E che dice, forte e chiaro, no all'indifferenza”. Schiviamo automobili e aiuole, sprofondando sempre più nel traffico della capitale. Una lattina gigante di coca-cola, sul tetto di un palazzo, ruota su sé stessa; penso sia avvistabile da km di distanza. Sotto i nostri piedi c’è un’altra città: buia e claustrofobica. Un reticolato di pertugi umidi dove scorrono tubature e corrono topi.
Iulian e Florea si baciano dolcemente nei pressi del centro diurno gestito da Parada. C’è anche Sergiu con loro. Se ne sta in disparte, nascondendo la punga (un sacchetto nero riempito di colla) dietro la schiena. Barcollano tutti e tre; lo sguardo è spento, privo di vitalità. Come la ragazzina di Gare du Nord. Sergiu abita poco distante. Basta superare le strisce pedonali, infilarsi nella prima arcata che sostiene un ponte in cemento e si è arrivati. Un riparo fatto di stoffa, cartoni e immondizia. Dall’altre parte del fiume si eleva la camera di commercio. Gli ultimi dipendenti spengono ora le varie lucine degli uffici. Una mano bianca sbuca tra i fori circolari di un tombino. Alza il coperchio e lo appoggia a lato dell’entrata. Un buco nero in mezzo ad un parcheggio condominiale. È l’imbrunire. Scendiamo. Soffitto basso, ambiente ristretto. Il manto stradale sopra la testa opprime e puzza di petrolio. Non c’è spazio per allargare le braccia stando eretti. Il tutto è scarsamente illuminato dalle poche candeline presenti; intravedo pile di rifiuti, vestiti sfibrati, scarpe sparse qua e là. Un numero spropositato di scarafaggi e mosche svolazza tra gli oggetti ammassati. Chiedo ai presenti quante persone vivono qui sotto. Quattro è la risposta. Dall’ombra fuoriesce una ragazza, si riordina la vestaglia floreale ed esclama: “Ma tra poco saremo in cinque”, accarezzandosi il pancione tondo e gonfio. La strada.
Il treno notturno diretto a Timisoara attende al binario sei. È gremito di giovani con abiti alla moda. Una coppia di anziani vestiti con abiti rattoppati si accomoda nei sedili a fianco. Stappano due birre in lattina e brindano convinti, facendosi beffa dei teenagers già intrappolati nelle braccia di Morfeo.
Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).