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“Minority Safepack”: un’occasione persa?
Riconciliazione
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Immagine: Minority-safepack.eu
Alla fine dello scorso anno, il Parlamento della Frisia - al pari di altri parlamenti regionali - aveva chiesto alla Commissione europea di sostenere l’iniziativa Minority SafePack a favore delle minoranze europee. L’iniziativa popolare, lanciata dalla Fedaral Union of European Nationalities (FUEN), sostenuta da più di 1,2 milioni di cittadini europei, da diversi governi statali e regionali, oltre che da una maggioranza di tre quarti del Parlamento europeo, è però rimasta inascoltata. In gennaio, infatti, la Commissione europea ha ritenuto di fare già abbastanza, considerando inutili nuove misure politiche per la protezione delle minoranze e la promozione della diversità culturale e linguistica nell’Unione europea. Una decisone che per l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) “è uno schiaffo in faccia alle minoranze culturali, religiose, linguistiche e nazionali. L’Unione si è dichiarata non competente per l'attuazione dei diritti delle minoranze. Questo contraddice le decisioni della Corte di giustizia europea, i trattati dell’Unione che prevedono la regolamentazione delle questioni delle minoranze e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Il rifiuto di questa iniziativa popolare di successo con più di un milione di firme in sette Stati membri sembra una decisione contro la partecipazione dei cittadini dell’Unione”.
Le proposte presentate dalle minoranze, alcune delle quali di natura legislativa, ma moderate nel loro orientamento politico, sono state concepite per favorire e migliorare i negoziati con proposte innovative e democratiche. Eppure in febbraio, il Segretariato generale della Commissione William Sleath, a nome della presidente Von der Leyen, ha sostenuto che la Commissione ha già delle misure legislative adeguate ad affrontare le richieste delle minoranze e non ha mai fatto mancare il suo impegno a rispettare i diritti e le diversità culturali e linguistiche. Già nel 1996, però, lo studio “euromosaic” della Commissione europea ricordava come “delle 48 lingue minoritarie nell’area dell’Unione, 23 hanno solo una vitalità limitata o nulla. Altre dodici lingue minoritarie sono classificate come in pericolo” e per l’APM dalla pubblicazione dello studio, “poco è stato fatto per combattere l'estinzione delle lingue maggiormente in pericolo”. Nonostante questo “la decisione della Commissione europea ha scavalcato l'istituzione dell’Unione che ha la più alta legittimità democratica, cioè il Parlamento europeo, che è eletto direttamente dai cittadini. Una grande maggioranza di deputati ha votato a favore dell’iniziativa a favore delle minoranze dopo un’audizione parlamentare sull’iniziativa dei cittadini”. In quell’occasione Sijbe Knol capogruppo della Alleanza Libera Europea ha dichiarato che “È vergognoso che la Commissione europea semplicemente ignori questa iniziativa dei cittadini. La risposta della Commissione europea è arrogante e rischia di danneggiare la legittimità democratica dell’Unione europea”. Ciononostante, la Commissione ha respinto ancora una volta un’iniziativa popolare di successo che si è aggiunta alle altre 14 iniziative popolari già rimbalzate negli scorsi anni dalla Commissione.
Ma la risposta della Commissione europea rappresenta un affronto, non solo per gli 1,2 milioni di persone che hanno firmato questa iniziativa europea, ma anche per gli oltre 50 milioni di persone che nell’Unione appartengono a una minoranza o che parlano una lingua regionale o minoritaria. Secondo la Commissione “Le minoranze europee e le loro preoccupazioni non sono questioni che appartengono all'Unione europea. Appartengono agli Stati membri o, eventualmente, al Consiglio d'Europa”, una posizione che per l’APM “Contraddice non solo le decisioni della Corte di giustizia europea, ma anche ciò che noi crediamo che l'Unione europea dovrebbe rappresentare”. Anche per questo secondo l’APM “il rifiuto dell’iniziativa dei cittadini da parte della Commissione europea contribuirà a rafforzare i movimenti di autodeterminazione in Catalogna, nei Paesi Baschi, in Corsica o tra gli ungheresi della Transilvania rumena. La risposta della Commissione finisce per incoraggiare i disordini nelle regioni delle minoranze linguistiche e nazionali. Con il suo atteggiamento, la Commissione si è fatta custode degli interessi dello stato nazionale. L’impegno per la diversità culturale e linguistica si rivela essere una mera accozzaglia di belle parole. Un’occasione persa su tutta la linea”.
Secondo l’APM, “le minoranze europee, la cui gran parte ha messo i propri sentimenti europei al primo posto e ha investito otto anni di solidarietà, cooperazione europea e impegno della società civile nell'iniziativa popolare, se ne vanno deluse e frustrate. Con la risposta, non c'è dubbio, l'iniziativa dei cittadini europei come strumento non solo è stata ridotta all'assurdo, ma è letteralmente morta”. Adesso le minoranze che nella lotta per la loro auto-affermazione politica, culturale e linguistica hanno ripetutamente guardato all’Unione con speranza di sostegno, sono disilluse. Il rischio è che “Catalogna, Scozia, Sudtirolo, Szeklerland (Terra dei Siculi), Vallonia, Irlanda del Nord… e la schiera di regioni che stanno pensando a come plasmare il loro futuro abbiano ricevuto un chiaro messaggio: l’Unione non ci prenderà sul serio finché non avremo un nostro stato”. Non è da escludere che la risposta della Commissione renderà più forti le richieste di autodeterminazione in Europa negli anni a venire, rafforzando populismi e regionalismi non sempre democrtatici. Che fare? Forse se l’Unione europea ha la legittima ambizione di essere un’istituzione credibile nel campo dei diritti civili e umani, dovrebbe tenere in maggior considerazione le istanze delle proprie minoranze e gruppi linguistici. “Speriamo che la Commissione Europea si ravveda e assuma una posizione più aperta nei confronti delle minoranze europee e della diversità linguistica, come è previsto dai trattati europei e dagli ideali di cooperazione europea” ha concluso l’APM. Del resto se l’Unione esiste è anche per i suoi cittadini e non può ignorare 50 milioni di persone che parlano lingue minoritarie.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.