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Cile, tutte le sfide per il nuovo governo a 40 anni dal golpe
Riconciliazione
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Lo scorso 15 dicembre il secondo turno delle elezioni cilene ha visto eletta, come da previsioni, Michelle Bachelet, leader della coalizione di centrosinistra, che tornerà ad insediarsi al palazzo della Moneda dopo l’unica parentesi di governo di centrodestra del Cile post-dittatura. Il dato più significativo, tuttavia, è stato senza dubbio il forte astensionismo, che ha portato alle urne solo il 40% degli aventi diritto, nelle prime elezioni in cui l’esercizio di voto era facoltativo.
Al di là del responso delle urne, che ha visto Bachelet prevalere nettamente con circa il 60% dei voti sulla candidata della coalizione di destra Evelyn Matthei, vi sono altri fattori da tenere in considerazione per meglio comprendere l'attuale quadro politico del Cile.
La diserzione delle urne, infatti, pare dovuta non solo ad una generale disaffezione per le vicende politiche, ma anche ad una presa di posizione contro un sistema ritenuto ormai inefficace nell’affrontare quelle riforme strutturali di cui il paese avrebbe estremo bisogno. La transizione avvenuta alla fine della dittatura nel 1990 ha visto infatti una sostanziale continuità soprattutto per quanto riguarda i temi di politica economica. L’orientamento marcatamente neoliberista che ha ispirato la politica economica cilena ha prodotto il tasso di disuguaglianza più alto fra i paesi dell’OCSE, con larga parte della popolazione esclusa dai benefici di un modello di sviluppo che ha prodotto una ulteriore concentrazione della ricchezza nelle mani di poche famiglie.
Due aspetti paiono particolarmente interessanti e costituiscono una potenziale sfida per la “presidenta”: la campagna per l’assemblea costituente ed il ruolo dei movimenti sociali.
Vale la pena ricordare che la costituzione cilena è stata promulgata nel 1980 durante il sanguinario regime dittatoriale guidato dal generale Pinochet. Sono seguite varie modifiche in diversi periodi, ma permangono alcune parti profondamente antidemocratiche. La campagna “marca tu voto”, lanciata durante le ultime elezioni, invitava gli elettori a scrivere AC (Assemblea Costituente) sulla scheda elettorale (il sistema cileno prevede la validità del voto se la preferenza è espressa chiaramente, a prescindere da altri segni marcati sulla scheda) come mezzo di pressione sulla candidata che sarebbe uscita vincente a convocare un’assemblea costituente eletta dalla cittadinanza. I risultati indicano che circa un 10% di elettori ha seguito l’invito, ma al di là delle cifre non si può negare che il tema abbia una rilevanza centrale nel dibattito politico attuale ed il nuovo governo non potrà non fare i conti con questa legittima aspirazione democratica che proviene da ampi settori della società civile.
L’altro attore fondamentale nella democrazia cilena è senz’altro rappresentato dai movimenti sociali, ed in particolare dal movimento studentesco che dal 2011 rivendica un’educazione pubblica, gratuita e di qualità. Va ricordato che in Cile la stragrande maggioranza degli studenti contrae mutui ventennali per poter sostenere le spese della formazione universitaria, sia pubblica che privata. Durante le due tornate elettorali il movimento si è speso in comunicati ed azioni dimostrative, come l’occupazione del comitato elettorale centrale di Michelle Bachelet durante il primo turno, o l’oscuramento del sito web del ministero dell’educazione a risultati elettorali ormai certi, con un comunicato che preannunciava le prossime mobilitazioni (“signora presidentessa, ci incarichiamo di renderle difficile la cosa. Il prossimo anno sarà una tappa di mobilitazioni. Ora basta! Abbiamo bisogno di un cambiamento adesso!”). Mentre quattro dei leader studenteschi che infiammarono la protesta negli scorsi anni, tra i quali la nota Camila Vallejo, sono entrati in parlamento (tre di essi sostenendo Bachelet), Melissa Sepúlveda, nuova presidentessa della FECH (Federazione degli Studenti della Università del Cile) ha ribadito la necessità di una lotta che esuli dall’ambito istituzionale. La nuova rappresentante degli studenti, di orientamento libertario, crede infatti che non ci sia molto di concreto da aspettarsi dal nuovo governo, nonostante le dichiarazioni in campagna elettorale della futura presidenta, che promettevano educazione gratuita e di qualità.
Quello studentesco non è però l’unico movimento attivo nel panorama cileno: i movimenti indigeni ed ambientalisti hanno già ottenuto qualche risultato concreto grazie alle loro mobilitazioni. Il mega-progetto minerario di Pascua Lama, sostenuto dall’impresa mineraria canadese Barrick Gold, è stato sospeso dopo che la compagnia aveva già investito 5 miliardi di dollari. Altro progetto controverso, a cui partecipa fra gli altri l’italiana ENEL, è quello di Hidroaysén, che prevede la costruzione di imponenti dighe e centrali idroelettriche nella Patagonia cilena. Il progetto è fermo da due anni in attesa dell’approvazione del governo, mentre cresce l’opposizione a causa del forte impatto ambientale che tale intervento avrebbe sul delicato ecosistema e sulle comunità indigene Mapuche che abitano il territorio. Tuttavia la legge cilena prevede la concessione a privati delle sorgenti d’acqua, ed Enel Endesa possiede già il 90% dei diritti sulle acque della regione di Haysén, dove il mega-progetto dovrebbe vedere la luce.
Questi esempi sono emblematici della lotta contro il modello di sviluppo cosiddetto “estrattivista” e, più in generale, contro le politiche neoliberiste. Sebbene la tendenza sia stata quella di minimizzare e rendere il più possibile invisibili le lotte dei movimenti e delle comunità locali, l’auspicio è che il nuovo governo che si insedierà a marzo ascolti le rivendicazioni dei suoi cittadini e cittadine più che le pretese delle imprese multinazionali. Tuttavia resta forte il timore che non vi sia soluzione di continuità rispetto ai governi precedenti.