Ucraina a 541 giorni dall’invasione. Il Punto

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Immagine: Atlanteguerre.it

“Se avete bisogno di stabilità e sicurezza, contattateci”. Lo diceva Evgheni Prigozhin, il fondatore della Wagner, che alla pubblicità ci teneva. Sulla sicurezza, però, qualcosa deve essere andato storto, vista la morte, non troppo sorprendente a dire il vero, che lo ha colto mentre viaggiava fra San Pietroburgo e Mosca. Era su un jet privato della sua organizzazione.

Dieci i morti di questa che appare sempre più una vendetta di Vladimir Putin, a due mesi dallo strano golpe che proprio Prigozhin aveva inscenato marciando su Mosca. I corpi delle vittime sono stati ritrovati. L’aereo è esploso. C’è chi dice per un missile antiaereo che lo ha colpito, scambiandolo per un drone ucraino. Altri sostengono che a distruggere il velivolo sia stata un bomba a bordo.

Tutti, però, vedono nell’accaduto la mano del capo del Cremlino, abituato a vendicarsi. E a farlo prendendosi tempo, a freddo. Al momento dell’incidente, Vladimir Putin era ad un incontro con i leader delle regioni ucraine annesse. Stava parlando delle elezioni regionali di settembre, le prime in quei territori e del piano didattico per il nuovo anno scolastico.

Ora si tratta di capire cosa accadrà della Wagner. L’organizzazione militare privata di Prigozhin è stata, ed è ancora, il braccio politico-militare di Mosca in Africa. Inoltre, ha avuto un ruolo di primo piano nella guerra in Ucraina, ben prima dell’invasione di 548 giorni fa.

In queste ore, la controffensiva ucraina sembra aver ripreso vigore, quanto meno nel tentativo di indebolire l’apparato militare dell’invasore russo. Secondo gli osservatori militari, droni navali di superficie hanno attaccato i porti militari di Sebastopoli in Crimea e di Novorossisk. Dai primi di agosto, poi, la Marina ucraina ha proclamato area di guerra lo spazio marittimo circostante sei porti russi nel Mar Nero: Anapa, Novorossisk, Gelendzhyk, Tuapse, Sochi e Taman. L’obiettivo di Kiev, suggeriscono gli esperti, è il traffico mercantile intorno al ponte di Crimea.

L’offensiva prosegue anche nel cielo. il Ministero della Difesa di Mosca ha dichiarato di avere abbattuto tre droni ucraini, due nella regione di Bryansk, che confina con l’Ucraina, un altro nella regione di Kaluga, a sud-ovest di Mosca. I velivoli senza pilota di Kiev avrebbero colpito Mosca e altre aree. Tre persone sono morte nella regione di confine di Belgorod e un altro drone si è schiantato contro un grattacielo in un quartiere d’affari di Mosca. Qui non ci sono state vittime.

In termini di territorio riconquistato, invece, l’offensiva di Kiev continua ad essere un fallimento. La Russia controlla ancora il 20% del territorio ucraino, più o meno quanto aveva guadagnato nei primi giorni di occupazione. Un particolare, questo, che fa immaginare agli osservatori tempi ancora lunghi per questa guerra. Nelle cancellerie – visto anche l’immobilismo delle diplomazie – se ne parla ormai in modo esplicito e la cosa fa nascere ipotesi di ogni genere su possibili negoziati.

Non a caso, il Ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha sentito il bisogno di ribadire che si potrà parlare di pace possibile solo dopo aver ristabilito i confini del 1991, riconquistando quindi il 20% del territorio ucraino ora in mano russa. Gli fa eco il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, che rilascia una dichiarazione comunque ambigua: “Solo gli ucraini – dice – possono stabilire quando e come ci saranno le condizioni per negoziare e quale sia una soluzione accettabile”. Non parla di ripristino territoriale e recupero dei territori. Non accenna nemmeno più – come era solito fare qualche tempo fa – ad una “vittoria dell’Ucraina sulla Russia”.

Sono piccoli segnali che dicono come, forse, questa lunga guerra stia stancando gli alleati di Kiev e che le risorse potrebbero non essere infinite. È vero: a ferragosto la Svezia ha annunciato altri 300 milioni di euro in aiuti militari. Gli Stati Uniti hanno di recente messo sul tavolo altri 200 milioni di dollari. Ma i segni di stanchezza iniziano a vedersi e per Kiev il prossimo inverno potrebbe essere davvero duro, difficile e molto più solitario.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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