L’Afghanistan e le nostre responsabilità

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Immagine: Unsplash.com

Una grande preoccupazione attraversa il cuore dei tanti afgani che in queste ore vedono avvicinarsi l’orda talebana opposta a un Governo che non sembra aver un piano preciso né su come condurre la guerra né su come gestire il negoziato di pace. Non c’è purtroppo da stupirsi visto che i maestri, del governo e dell’esercito afgano, sono degli strateghi che la guerra l’hanno persa così come hanno perso la scommessa della pace: con un negoziato ambiguo e frettoloso, premessa – per come è stato condotto – di una fragilità dell’esecutivo di Kabul che la pax americana con la guerriglia in turbante ha solo rafforzato. Ma al di là di come verrà condotta la guerra, che ora riprende con nefasti raid aerei e un aumento forsennato di vittime civili e sfollati, non è mai inopportuno perdere di vista la pace, anche se questa appare ora un miraggio lontano o, per alcuni, un’impossibile realtà. Non è solo questione di ottimismo ma di responsabilità. Una responsabilità che il governo dell’Italia, quale ne sia il colore, deve continuare ad assumersi.

In queste ore l’emergenza umanitaria in Afghanistan ci dice che sono scarse le forze per farvi fronte. Non basteranno le iniziative dell’Onu, pur sempre benvenute, né la testardaggine di Ong che ad ogni costo sono rimaste – Emergency, Pangea, Nove, Intersos, Msf solo per citarne alcune – mentre gli eserciti (il nostro costato in vent’anni 8,5 miliardi di euro) si ritiravano in buon ordine, rapidi e invisibili come vogliono i manuali. La fragile struttura dell’associazionismo afgano, le reti di donne, i sindacati, le ong locali che assistono anziani e bambini, sono già state lasciate al loro destino da tempo, bloccate dal divieto italiano ed europeo di dar fondi diretti a soggetti locali che non siano il governo, sia da una solidarietà internazionale che si è rivolta altrove: alla Siria, alla Libia, al Covid...

L'articolo di Emanuele Giordana segue su Atlanteguerre.it

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