Dopo la notte, il giorno: la Tunisia del “patto” si scopre ottimista

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TUNISI - È fatta: il 10 Febbraio 2014 si candida ad essere una data significativa nella storia del mondo arabo. Del mondo tout court, a detta di qualche analista col vezzo della solennità. La nuova Costituzione tunisina è entrata in vigore, nella parte relativa ai diritti politici e alle libertà individuali. Si tratta di un testo evoluto e dinamico, che accoglie la tradizione islamica, senza ripudiare le conquiste e le garanzie della modernità giuridica. Si tratta, in definitiva, dell’esito di un patto fra le due grandi anime del Paese: quella confessionale e quella laica. Un patto sofferto ma compiuto, con un obiettivo comune: un rapido rilancio, economico e di immagine. Una prospettiva plausibile?

Potere di una costituzione. Difficile da credere, ma la Legge fondamentale tunisina sembra possedere una facoltà che va ben al di là del giuridico, e perfino del politico: restituire il buon umore. In televisione, nelle assemblee, nei mercati, ovunque, il pessimismo ed il sospetto, che accompagnavano ogni allusione al futuro, sono scomparsi. All’improvviso. C’è solo spazio per un’ostentata fiducia nell’avvenire, per l’orgoglio. C’è la consapevolezza di aver portato a termine un progetto innovativo, che appare difficile, se non marcatamente utopistico, in tutti gli altri Paesi dell’area: trovare un compromesso virtuoso fra riconoscimento dell’identità e apertura al mondo. Fra Islam e progresso. Qui, quell’obbiettivo, germogliato da confronti serrati, da accelerazioni ed attese, da svolte politiche e sacrifici individuali, è stato realizzato. Almeno sulla carta.

Non è cosa da poco. Infatti, i traguardi sanciti dallo nuovo Statuto possono dirsi all’avanguardia, anche rispetto a realtà generalmente considerate più avanzate, come quelle delle nazioni occidentali. Si consideri, ad esempio, il testo dell’articolo 11, che impone alle più alte cariche dello Stato, ai parlamentari ed ai funzionari pubblici di grado elevato di “dichiarare l’entità dei propri beni, conformemente alle disposizioni di legge”. Oppure, all’articolo 44, che rispondendo ad un’esigenza sempre più avvertita, a livello globale, istituisce un vero e proprio diritto d’accesso all’acqua, imponendo alla società e allo Stato di “preservarla e razionalizzarne lo sfruttamento”. Il tutto, in un contesto giuridico che si fa promotore delle libertà di manifestazione del pensiero e financo di culto. Poiché (ed è questo un punto fondamentale), pur essendo proclamata la matrice islamica dello Stato, si dispone che quest’ultimo debba “garantire la libertà di coscienza e di credo”, favorendo “i valori della moderazione e della tolleranza”, ai sensi dell’artico 6 della Carta. Un’autentica svolta, rispetto alle aspettative di qualche mese fa.

Una svolta che cerca di essere assecondata anche sul piano della sicurezza interna. Il nuovo Governo guidato dall’indipendente Mehdi Jooma, infatti, ha recentemente assestato alcuni colpi significativi all’integralismo armato: il 4 Febbraio, una vasta operazione di polizia ha smantellato un covo di terroristi presente a Raoued, piccolo centro posto fra Tunisi e la zona costiera (ricca di alberghi turistici); il 16 dello stesso mese, un’altra azione, svoltasi a L’Ariana (poco lontano da Raoued), ha portato all’arresto di un gruppo legato alla costola magrebina di Al-Qaida. Almeno a detta del Ministero dell’Interno. Interventi importanti, che tuttavia hanno sollevato qualche diffidenza, dal momento che il primo ha determinato la morte di Kamel Gadhgadhi, presunto assassino dell’avvocato Chokri Belaid (compianto leder dell’opposizione laica), mentre il secondo ha condotto all’arresto di Hmed el-Melki, detto “il somalo”, implicato nell’omicidio di Mohamed Brahimi (altra figura politica di spicco): il fatto che tutto sia avvenuto a ridosso del 6 Febbraio, data dell’agguato allo stesso Belaid ed occasione di una partecipata commemorazione pubblica, pare una coincidenza quantomeno sospetta. Una coincidenza che viene posta in relazione alla volontà di mutare la percezione estera del Paese, in un momento in cui gli investimenti d’oltre confine rappresentano una drammatica necessità. Qualunque sia la verità, si tratta di segnali importanti e indubbiamente positivi.

Segnali che rischiano, però, di essere oscurati dall’imperizia del Presidente della Repubblica: quel Moncef Marzouki accolto dapprima con entusiasmo, in virtù della sua immagine di equilibrato uomo di diritto, ed ora ampiamente screditato. Si susseguono, infatti, gaffes ed interventi maldestri, che rasentano, sovente, l’incidente diplomatico. Il primo episodio risale al 2013, in un momento in cui la Tunisia necessitava del massimo sostegno internazionale, con un discorso all’Onu, quasi unanimemente considerato confusionario ed inconcludente. Più di recente, una cattiva programmazione degli interventi, in onore della nuova Costituzione, svoltisi il 7 Febbraio, alla presenza di numerosi rappresentanti stranieri, ha provocato imbarazzanti attriti fra la delegazione iraniana e quella statunitense, a danno delle celebrazioni. Proprio di questi giorni, poi, l’affaire libico: un’espressione di solidarietà, posta in essere da Marzouki, a seguito di un presunto tentativo di colpo di stato militare, ha indotto il governo di Tripoli a smentire, non senza un certo fastidio, l’ipotesi del golpe. È evidente che il rilancio del Paese dei gelsomini dovrà passare anche da un ricambio della sua classe dirigente. Stando all’ottimismo della gente, non v’è dubbio che questo rappresenti solo un piccolo ed insignificante ostacolo.

Omar Bellicini

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