Corruzione e commercio di armi: manca la trasparenza

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Da anni l’organizzazione non governativa Transparency International pubblica un dossier sulla trasparenza e sulle procedure anticorruzione messe in atto o tralasciate dalle principali multinazionali che operano nel settore della produzione e del commercio di armi. La novità dell’ultimo documento, presentato il 4 ottobre scorso, sta nella redazione di una sorta di “classifica” delle aziende più o meno attente a garantire, per quanto possibile, una gestione limpida: sono stati così messi sotto la lente di ingrandimento 129 gruppi industriali di tutto il mondo, colossi del mercato delle armi che però faticano a fornire le informazioni necessarie per un controllo pubblico del loro operato.

Le multinazionali prese in esame sono invitate a rispondere a una serie di domande relative al modo in cui si difendono contro la corruzione, giudicata giustamente come un pericolo sempre in agguato. Infatti il giro d’affari di questo settore è talmente elevato che il rischio di corruttele, come dimostrano moltissimi episodi, mette a repentaglio non solo i soldi investiti (si stima che la corruzione costi 20 mld di dollari l’anno), ma anche la sicurezza dei Paesi coinvolti. La trasparenza in questo contesto non è quindi un affare di qualche pacifista che si oppone alle armi ma riguarda tutti i cittadini soprattutto degli stati democratici. Va ricordato infatti che, nel settore militare soprattutto europeo, è fortissimo il connubio governi/industrie nazionali e che i fenomeni di corruzione non sono episodici o casuali, ma sono sistemici, come dimostrato dal Sipri. Per questo il documento di Transparency International è così importante.

Riporta il sito dell’organizzazione: “Due terzi delle più grandi multinazionali del mondo del settore delle armi non offrono sufficienti garanzie pubbliche su come contrastano la corruzione. Queste aziende hanno sede in tutti e 10 i principali paesi esportatori di armi quali gli Stati Uniti, la Russia, la Germania, la Francia, il Regno Unito e la Cina, e sono responsabili del 90% del commercio d’armi in tutto il mondo”. Riprende la notizia l’agenzia Misna: “«La corruzione nel settore della difesa minaccia chiunque, i contribuenti, i militari, i governi e gli stessi produttori» ha sottolineato Mark Pyman, il direttore della sezione inglese dell’ong che ha coordinato la ricerca. «Con contratti miliardari e un alto livello di segretezza – ha detto ancora Pyman – ci sono molte opportunità perché degli episodi di corruzione il pubblico non venga mai a sapere». Intitolato Indice anti-corruzione delle società della difesa, il rapporto è in parte fondato su dati messi a disposizione dall’istituto svedese Sipri e dalla Banca mondiale. I 129 gruppi industriali sono suddivisi in sei categorie, sulla base della qualità dei meccanismi anti-corruzione che affermano di aver azionato. Nella fascia dei più corrotti figurano tra gli altri due gruppi israeliani e due russi, i cinesi di Aviation Industry Corporation of China e i giapponesi di Kawasaki Heavy Industries. Non fanno molto meglio le società italiane, con Fincantieri collocata nella penultima categoria e Finmeccanica poco più su, sullo stesso gradino del colosso statunitense Lockheed Martin e sotto agli inglesi di BAE Systems”. Solo il 10% delle multinazionali presenta un elevato livello di consapevolezza anticorruzione, mentre un terzo è collocato nei livelli più bassi, quelli compresi nella lettera E ed F (il livello migliore è A).

BAE Systems è da decenni al centro di intricate vicende che l’hanno vista implicata in tutti i conflitti dal dopoguerra in poi; negli ultimi anni numerose inchieste di quotidiani britannici ma pure azioni legali dello stesso governo inglese, preoccupato per la sicurezza nazionale, hanno svelato intrighi e comportamenti spregiudicati (si veda il caso dell’accordo degli anni ’80 tra Gran Bretagna e Arabia Saudita, denominato Al-Yamamah, “la colomba”, per la vendita di 72 cacciabombardieri, finito nelle corti giudiziarie di mezzo mondo).

Per esempio potrebbe migliorare le sue prestazioni Finmeccanica, fa notare un articolo di Altreconomia, “sotto processo a Busto Arsizio -insieme all’attuale Ad, Giuseppe Orsi ed altri sei intermediari- per corruzione internazionale nell’ambito della vendita di 12 elicotteri Agusta-Westland al governo indiano. Vicenda che, a quanto pare, non ha inciso sulla prestazione registrata da Transparency International, che ha catalogato Finmeccanica” nella categoria C.

Qualche mese fa avevamo proposto come Unimondo al governo Monti appena insediatosi una “semplice riforma a costo-zero: che il Ministero dell’Economia e delle Finanze (dipartimento del Tesoro) renda pubblici online (senza stamparli su carta) gli elenchi degli ultimi tre anni di “Riepilogo in dettaglio suddiviso per Istituti di Credito” delle operazioni autorizzate alla banche riguardo all’esportazione di armamenti italiani. Occorrerebbe la massima trasparenza delle transizioni bancarie, vero punto forte per combattere il fenomeno: perché il governo che vuole varare un provvedimento anticorruzione non pensa di occuparsi anche del settore delle armi? [PGC]

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