Alla vigilia della conferenza di Ginevra 2: un contributo per la pace

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La distruzione della guerra – foto: pressenza.it

Spiacerà forse ai non credenti o a quanti, dalla prospettiva del rilancio di un movimento pacifista a più forte connotazione progressista, speravano e sperano in più incisive e coerenti prese di posizione delle varie articolazioni del movimento “per la pace e contro la guerra”, in particolare contro la guerra civile e per procura in corso in Siria. Fatto sta che la Chiesa Cattolica, anche nelle sue più recenti iniziative e prese di posizione “ufficiali”, conferma di essere uno dei più lucidi lettori della vicenda siriana degli ultimi tre anni ed uno degli attori internazionali più consapevoli intorno ai (possibili?) progressi negoziali nel Paese e nella regione.

Com’è noto, il prossimo 22 gennaio si celebrerà a Montreux, in Svizzera, poco distante da Ginevra, la cosiddetta “Ginevra 2”, vale a dire la conferenza internazionale nella quale si proverà un nuovo sforzo per un dialogo multilaterale e per una soluzione politico-diplomatica alla guerra in corso in Siria. A quella assise parteciperanno tutti gli attori salienti del teatro siriano e regionale, trenta Paesi insieme con le Nazioni Unite, la Lega Araba e l’Unione Europea, alla presenza peraltro di due delegazioni siriane, una delle quali, quella delle “opposizioni”, molto diversificata e profondamente divisa (sul campo e all’estero) al suo interno.

Uno degli effetti della degenerazione che il conflitto ha subito negli ultimi mesi, infatti, è stato proprio il protagonismo delle formazioni islamiste più aggressive e radicali, che, da una parte, ha ulteriormente incrudelito il conflitto, e, dall’altro, ha determinato l’effetto di una vera e propria “guerra nelle guerra”, con le diverse frange islamiche e i variegati fronti dell’opposizione che si stanno letteralmente combattendo fra di loro: da una parte i qaedisti dello “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, dall’altra vari fronti jihadisti e frazioni della storica Fratellanza Musulmana. Con tutte le conseguenze politiche del caso, ovviamente: la divisione e l’indebolimento delle opposizioni al governo; la perdita di credibilità e di seguito della vecchia opposizione del Consiglio Nazionale Siriano; il condizionamento, grave e negativo, dei tentativi negoziali in corso, se è vero, come sembra, che il CNS stesso ha dichiarato di non volere partecipare all’importante assise svizzera.

Molti, nella cosiddetta comunità internazionale, iniziano a prendere consapevolezza degli errori politici e strategici compiuti, dalla legittimazione della multiforme galassia delle opposizioni siriane sino al sostegno diretto (con finanziamenti ed armamenti) alle milizie anti-governative, iniziative, queste ultime che, se da un lato non sono servite a sostenere le istanze libertarie del movimento democratico siriano, dall’altro sono all’origine di quella spirale di violenza e di militarizzazione che sempre più devasta il Paese, sconvolge i suoi equilibri sociali e confessionali, minaccia e colpisce la popolazione civile. È chiaro che ogni consapevolezza è inutile, se non è seguita da misure conseguenti, in linea coi principi di non-ingerenza e auto-determinazione, vera e propria bussola, più che mai essenziale ed inevitabile, per un superamento positivo del conflitto in corso.

Il 12 gennaio scorso la riunione dei cosiddetti “Amici della Siria” (tra cui si annoverano alcuni tra i principali animatori della guerra per procura nel Paese: USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Emirati e Qatar) ha prodotto una risoluzione in base alla quale “Assad e i membri del suo entourage con le mani insanguinate non avranno alcun ruolo” nel futuro del Paese. L’opposizione quindi deve “formare al più presto una delegazione per partecipare al processo politico” che si aprirà in Svizzera.

Nella sua importante conferenza di lavoro dello scorso 13 gennaio, dal titolo emblematico: «Siria, si può restare indifferenti?», la Pontificia Accademia delle Scienze, non si è limitata a sottolineare come un simile presupposto sia il modo migliore per condannare al fallimento qualunque ipotesi negoziale, ma ha ricollocato il disarmo di tutte le fazioni combattenti, il cessate il fuoco e la proposta di riconciliazione al centro della agenda, vere architravi del superamento positivo dell’attuale situazione. Dopo la presentazione dello scenario regionale e di contesto, l’assise si è soffermata sui percorsi praticabili, anche in vista della conferenza ginevrina, per una soluzione politica e negoziata.

Nel suo deliberato finale l’assise vaticana ricorda che “il passo iniziale e più urgente…è l’immediato cessate il fuoco e la fine di ogni tipo di violenza: una fine senza pre-condizioni politiche”. Quindi, “la fine dei combattimenti va accompagnata dall’avvio immediato dell’assistenza umanitaria e della ricostruzione civile”. Per arrivare infine a garantire “la partecipazione di tutti gli attori regionali e globali al processo di pace di Ginevra 2” e il dialogo tra le comunità nella prospettiva della riconciliazione, dialogo, a sua volta, inteso come “base di sicurezza e ricostruzione su cui edificare una pace duratura”. Come significativamente indica il deliberato nelle conclusioni: “È necessaria anche una trasformazione politica. Non si tratta di un presupposto per porre fine alla violenza; piuttosto, andrà di pari passo alla cessazione della violenza e alla ricostruzione della fiducia”, appunto nel rispetto dei basilari principi (insieme) di non-ingerenza, auto-determinazione e giustizia.

Gianmarco Pisa

Fonte: pressenza.it

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