Yarmouk: un campo senza speranza per un popolo senza una terra

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Non molto tempo dopo l’inizio della guerra civile siriana dalle alture presso il monte Qasioun a nord di Damasco, guardavo insieme ad amici siriani le prime bombe che esplodevano sul campo palestinese di Yarmouk. L’artiglieria dell’esercito siriano dietro di noi sparava pigramente, forse un colpo ogni cinque minuti, e un piccolo sbuffo di fumo si alzava al di sopra della foschia dovuta all’afa.

“Allora si stanno entrando in un’altra guerra!” ha detto in modo scortese  una delle mie conoscenze siriane. “Non sanno se sono ribelli o uomini di Bashar.” Provate compassione per i palestinesi. Sono profughi eterni; dalla Palestina nel 1947-48, dalla Giordania nel 1970-01, dal Libano nel 1982, dal Kuwait nel 1991, e ora dalla Siria. Espulsi dalle loro terre della Palestina del mandato britannico, contrapposti all’esercito di re Hussein nella mini guerra in Giordania, schierati dalla parte della sinistra musulmana in Libano e con Saddam dopo che aveva invaso il Kuwait, le divisioni politiche della Siria hanno condannato di nuovo i palestinesi nel paese che una volta si considerava l’avanguardia  del popolo palestinese.

Trattati con relativo rispetto in Siria – potevano avere il passaporto, possedere una casa e  avere un lavoro – i palestinesi hanno beneficiato dell’assoluto appoggio del partito Baath. Ma una volta che è stato contestato il governo di Bashar, i vecchi dogmi e le rivalità hanno spinto alla disperazione i palestinesi. Hamas, che aveva mantenuto il suo apparente quartier generale a Damasco, quando il capo era Khaled Meshaal,  se ne è andato a Doha, luogo di perdizione e si è opposto al regime siriano. Fatah, dimentico della sua vasta diaspora, sperava che i suoi sostenitori avrebbero fatto quello che Yasser Arafat non era riuscito a fare: stare fuori dalla guerra.

Ma il partito siriano Baath non perdona i traditori; coloro che hanno tentato la neutralità e coloro che hanno preso posizione contro la Sorella Siria avrebbero pagato il prezzo. Soltanto il Fronte Popolare per la liberazione della Palestina – Comando Generale – che in realtà potrebbe essere stato responsabili per Lockerbie, per non parlare poi dell’uccisione di Rafiq Hariri (non parlatene a L’Aia proprio adesso), è rimasto leale.E naturalmente, il Libero esercito siriano, i combattenti nazionalisti del Nusra e i “moderati” islamisti sono entrati  a Yarmouk quando si sono impadroniti dei sobborghi di Damasco.

C’erano dei segni oggi che l’intervento palestinese da Beirut potrebbe permettere a pochi palestinesi di lasciare Yarmouk, ma è stato a lungo un luogo di fame e di macerie. Dei suoi 250.000 palestinesi, a malapena ne rimangono ora 18.000; fino a 1.500 sono morti, molti dei quali a causa della fame. Dei 540.000 rifugiati palestinesi  in Siria registrati, 270.000 sono senza tetto all’intermo del paese, e 80.000 sono fuggiti, due terzi di questi in Libano. 11.000 sono in Giordania, 5.000 in Egitto, alcuni  nel mezzo della Striscia di Gaza. Yarmouk e altri campi in Siria – i rifugiati del campo Rami a  nord di Homs, ora sopravvivono nei villaggi circostanti – erano stati creati come gli altri buchi di miseria nel mondo arabo, per i palestinesi che erano stati cacciati dalle loro case in quella che doveva diventare Israele. Ma ora, nel massacro siriano, chi si preoccupa dei palestinesi?

In Libano, le ONG palestinesi parlano con profondi sentimenti della loro storia, di come la morte di Ariel Sharon nelle scorse settimane  abbia risvegliato la sofferenza dei palestinesi sotto il dominio di Israele in Libano e nel massacro di Sabra e Shatila nel 1982. “Perfino la borghesia dei palestinesi si sta ora coinvolgendo,” mi ha detto un membro palestinese di sinistra del Fronte Democratico. “Dovunque ci sono dimostrazioni.”

Anche in Cisgiordania e a Israele; sebbene i palestinesi cristiani – ricordando il destino dei siriani cristiani per mano dei ribelli islamisti – non sono troppo desiderosi di condannare Bashar al-Assad. L’Autorità Palestinese, che ha mandato un suo inviato in Siria, ha poco interesse per la diaspora palestinese. Il “diritto di ritorno” era già da molto tempo una carta inutile quando gli israeliani stanno già rendendo più solida la Cisgiordania con le loro colonie.

Con ironia che stronca, gli Stati Uniti, che per decenni hanno dato carta bianca a Israele per il trattamento dei palestinesi e la colonizzazione dei Territori Occupati – hanno espresso ora il loro interesse per la “spaventosa” situazione dei palestinesi in Siria. “Siamo ora puniti dagli arabi e anche dagli israeliani,” ha detto l’uomo del Fronte Democratico. “E ora gli americani si rammaricano per noi!”

Robert Fisk da Znetitaly.altervista.org

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