I gazawi stanno morendo per noi

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A stupire, a volte, è la banalità del prevedibile. Ieri notte, la notte fra il primo e il secondo giorno di ottobre del 2025, le immagini in diretta del blocco della Global Sumud Flotilla da parte degli israeliani ci hanno quasi sorpreso e un po’ deluso per la loro prevedibilità. Sapevamo da giorni che Israele avrebbe fermato l’arrivo dei volontari civili internazionali e degli aiuti. Telegiornali, giornali e notabili italiani e stranieri lo hanno però talmente tante volte ripetuto, che ci aspettavamo quasi una smentita, un colpo d’ala d’Israele, una decisione diversa. Invece no: tutto è accaduto come doveva accadere. Li hanno circondati, abbordati, arrestati e impacchettati. Ora, con calma, li rimanderanno a casa.

Della medesima banalità sono le reazioni del governo italiano e dei notabili in qualche modo vicini a questo governo. Vorrei, per una volta, parlare di loro, lasciando sullo sfondo il genocidio in atto a Gaza e i criminali che lo compiono, perchè è interessante parlare del corto circuito che questa vicenda sta creando qui in Italia. Cerchiamo di spiegarlo.

Prima considerazione: il nostro è un governo che si autodefinisce di “patrioti”. Cioè difensori della Patria e, a scendere, di chi la patria abita, cioè i cittadini italiani. La vicenda della Flotilla rivela quanto sia corretto un sospetto condiviso da molti: per il governo dei patrioti ci sono italiani di serie A, quelli che obbediscono alle direttive senza parlare, protestare e opporsi e italiani di serie B, quelli che fanno opposizione. Questi, quelli di seconda categoria, per il nostro governo valgono molto, molto meno delle relazioni internazionali utili alla gestione del potere. Traduco: se devo scegliere fra un attivista che lotta per fermare la morte di migliaia di gazawi o un governo israeliano che massacra i palestinesi, ma con cui faccio affari e che mi accredita presso l’amico potente, non ho dubbi. Scelgo il governo israeliano e di quegli “italiani di scarto” mi interesso con prudenza e solo se costretto.

Seconda considerazione: per il nostro governo patriottico, l’uso della forza è infinitamente preferibile al tentativo di equità del diritto internazionale. In tutti questi lunghi giorni di navigazione della Flotilla e nelle ore di abbordaggio, nessun rappresentante del governo e nessun media d’informazione del “sistema ufficiale Italia”, ha ricordato che ad essere nell’illegalità non era la Flotilla, ma Israele. La Marina israeliana non ha alcun diritto di blocco sulle acque di Gaza, che non sono in alcun modo territorio israeliano. Il governo di Tel Aviv non ha alcun diritto di porre blocchi navali davanti a territori non propri e non ha diritto di fermare imbarcazioni straniere che si dirigono in acque territoriali non sue. È un atto di guerra. Non è un particolare da poco. Israele attacca navi straniere in acque internazionali e l’Italia e parte del resto del Mondo non solo lo lasciano fare, ma considerano “irresponsabili”, se non peggio, i cittadini italiani che tentavano legittimamente di andare a Gaza per ragioni politiche e umanitarie. Un rovesciamento della realtà che viene venduto come normale e ovvio e che disegna i volontari della flotilla come “possibili delinquenti”.

Terza considerazione: le posture governative dei primo e secondo punto ci suggeriscono un’ipotesi. Il governo di “patrioti” è pronto a tutto pur di compiacere chi, sul piano internazionale, può legittimarlo e accreditarlo. Il governo di chi ama la “patria” svende il Paese, pur di compiacere gli alleati forti. Lo svende accettando piani di riarmo disastrosi, cedendo in silenzio pezzi strategici dell’industria nazionale - dalla meccanica, alla chimica -, smantellando il diritto al lavoro e lo stato sociale. La  svendita del Paese, d’altro canto, è nella tradizione più antica di chi oggi ci governa: nel 1943, i nonni politici di chi oggi è a Roma permisero e appoggiarono l’invasione e la crudeltà nazista pur di rimanere in qualche modo in sella. Questa scelta, meglio ricordarlo, costò la vita a migliaia di italiani.

Ultima considerazione: il governo dei “patrioti” sta alla democrazia come le armi stanno alla pace. Non c’entrano nulla. Nella notte, migliaia di italiani sono ancora una volta scesi in piazza contro il blocco della flotilla. Hanno occupato strade, stazioni, piazze per dire stop a Israele e chiedere al governo italiano di fare qualcosa subito. Se va bene, sono stati e saranno ignorati. Le idee di chi chiede una pace giusta e il rispetto dei diritti di un popolo, quello palestinese, vengono ignorate in nome “dell’interesse di sistema”, che prevede di essere amici di Tel Aviv. I “patrioti”, che dicono di governare in nome e per conto delle democrazia e di chi li ha votati - appena 11milioni di italiani su circa 60 milioni, ricordiamolo - ignorano come sempre dibattito, confronto e mediazione. Loro sono “i patrioti” e tutto il resto è una feccia da escludere, eliminare, ignorare.

Attorno a Gaza ruota parte del nostro futuro. Quell’orribile eccidio, quel massacro deliberato, sistematico, annientante, è il laboratorio di quanto accadrà in qualche modo a tutti noi, alle nostre democrazie e ai nostri diritti. I gazawi stanno davvero morendo per noi. Sono topi di laboratorio. Su di loro si sperimenta ciò che potrà accadere ovunque. Si misurano le reazioni all'eliminazione dei diritti umani. Si testa la tenuta dell’impunità concessa ai massacratori. Si trovano le strade per ridurre al silenzio la democrazia. 

Per questa ragione, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo e Unimondo aderiscono allo sciopero e alla protesta di domani, 3 ottobre 2025. Non pubblicheremo notizie. Saremo in piazza e là dove serve. Faremo sentire, assieme a tanti altri, la nostra voce. Perchè difendere i diritti dei palestinesi e difendere Gaza significa difendere il nostro futuro.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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