Giornata internazionale per i "diritti" dei migranti

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Foto: Unsplash.com

Era il 1972 quado dentro un camion che avrebbe dovuto trasportare solo macchine da cucire, persero la vita per un incidente nel tunnel del Monte Bianco 28 lavoratori originari del Mali. Viaggiavano nascosti alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita verso la Francia, ma in Francia non ci arrivarono mai. La notizia convinse il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc) ad adottare una risoluzione nella quale chiedeva alla Commissione sui diritti umani (Ohchr) di occuparsi della costruzione di un quadro per la tutela dei lavoratori migrantiDue anni dopo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) adottò la “Convenzione 143 sui lavoratori migranti” e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre del 1990 approvò la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie che è entrata in vigore nel 2003 al raggiungimento delle 20 ratifiche, il numero minimo previsto. Quello stesso giorno, dieci anni dopo, le Nazioni Unite proclamarono il 18 dicembre la Giornata internazionale per i diritti dei migranti. Molte cose sarebbero dovute cambiare dal 1972 ad oggi, eppure questa importante Convenzione annovera pochissime ratifiche, la quasi totalità delle quali da parte di Paesi di provenienza dei flussi migratori. L’Italia non è tra i Paesi che l’hanno ratificata, così come il resto dei Paesi europei. Eppure da 48 anni si continua ad emigrare, a cercare lavoro e a morire anche in Europa, come ci ricorda, solo per citare il caso più eclatante, la strage dell’ottobre 2019, quando 39 migranti vietnamiti sono stati trovati morti in un rimorchio refrigerato nella contea di Essex ad est di Londra. 

Come mai? Anche se nel 2010, in occasione del 20° anniversario dall’adozione della Convenzione, è stata lanciata dalle Nazioni Unite una campagna globale per promuoverne la sua ratifica, nulla è cambiato e viene il fondato dubbio che per l’Unione europea prendere posizione ufficialmente sulla specifica situazione di vulnerabilità dei lavoratori migranti e promuovere condizioni di lavoro e di vita dignitose combattendo gli abusi e lo sfruttamento, possa diventare la doverosa anticamera del riconoscimento dell’obbligo di accoglienza anche per i “migranti economici”. La ratifica dei 93 articoli della Convenzione da parte dell’Unione potrebbe apparire, infatti, come un messaggio rassicurante indirizzato direttamente ai milioni di lavoratori che oggi sono pronti a mettersi in viaggio verso il nostro continente, un'idea che gli Stati europei non vogliono trasmettere alla maggioranza dei propri cittadini ed elettori. Ma è veramente così “pericolosa” questa Convenzione? Sicuramente compie un passo in avanti nel considerare i migranti non solo come lavoratori, ma soprattutto come esseri umani e interessa migliaia di persone, perché all’articolo 2 definisce lavoratore migrante quelle persone che “eserciteranno, esercitano o hanno esercitato una attività remunerata in uno Stato cui loro non appartengono”. Dopo aver definito i soggetti a cui si indirizza la Convenzione, l’art. 5 introduce una specificazione molto importante perché prevede espressamente che le tutele previste non sono da riferirsi a solo vantaggio dei lavoratori regolari, ma di tutti i migranti, anche degli “irregolari” che devono essere protetti in quanto esseri umani.

La Convenzione acquista pertanto una importanza fondamentale nella tutela del migrante lavoratore in quanto tale, che va oltre le singole enunciazioni di principio che sono in essa contenute. Un’interessante novità è proprio data dall’attenzione mostrata nei confronti dei lavoratori migranti costretti a lavorare in condizioni di irregolarità. Sono questi infatti i soggetti più vulnerabili rispetto ai quali si tenta di apprestare una tutela effettiva con il principio di non discriminazione che viene enunciato dall’art. 7: “Gli Stati parte si impegnano (…) a rispettare e a garantire a tutti i lavoratori migranti e ai membri della loro famiglia che si trovano sul territorio e su cui ricade la loro giurisdizione i diritti riconosciuti nella presente Convenzione senza distinzione alcuna, e in particolare di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione o di convinzione, di opinione politica o di qualunque altra opinione, d’origine nazionale, etnica o sociale, di nazionalità, di età, di situazione economica, patrimoniale, di situazione matrimoniale, di nascita o di qualunque altra situazione”. La Convenzione definisce inoltre i diritti diritti civilieconomici, sociali e culturali dei lavoratori e delle lavoratrici migranti (per esempio il diritto ai servizi medici minimi necessari, all’istruzione per i figli, il diritto di informare le autorità consolari in caso di arresto), nonché divieti, tra cui il divieto di espulsione collettiva.  La Parte Terza, Quarta e Quinta della Convenzione completano le prime due dedicandosi all’elencazione di tutti i diritti che vengono specificamente riconosciuti a tutela del migrante lavoratore e dei membri della sua famiglia. 

Accanto alla tutela dei diritti del lavoratore, la Convenzione si occupa anche della gestione delle migrazioni e della prevenzione ed eliminazione del traffico illegale di lavoratori migranti. Così si stabilisce che gli Stati devono collaborare al fine di prevenire ed eliminare movimenti illegali o clandestini ed è richiesto un impegno affinché siano adottare le misure adeguate ed efficaci per eliminare l’occupazione di lavoratori migranti in situazione irregolare. Se decliniamo a livello pratico le linee guida di questa Convenzione è chiaro che siamo davanti ad un testo sicuramente innovativo, ma non certo rivoluzionario. È innovativo per il riconoscimento della tutela dei lavoratori migranti anche se “irregolari”, ma dal punto di vista dei diritti applica quelli già (almeno in teoria) riconosciuti e tutelati dall’ordinamento internazionale e dalla stragrande maggioranza degli ordinamenti degli Stati europei. Eppure la ratifica da parte del nostro Paese sarebbe un atto politico dirompente che potrebbe spingere altri Stati membri dell’Unione a fare altrettanto. Ecco allora che una campagna per sensibilizzare il Governo rispetto a questo tema potrebbe essere un segnale importante per dimostrare la volontà reale di questo Paese di mettere fine a decenni sfruttamento lavorativo dei migranti, il cui contributo previdenziale è sempre più importante per la tenuta economica e sociale di un Paese con un tasso di natalità come il nostro.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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